Ricorso  della  Provincia  autonoma   di   Trento   (cod.   fisc.
00337460224), in persona  del  Presidente  della  Giunta  provinciale
pro-tempore Ugo Rossi, previa deliberazione della Giunta  provinciale
14 febbraio 2014,  n.  210  (doc.  1)  e  delibera  di  ratifica  del
Consiglio provinciale 19 febbraio 2014, n. 5 (doc. 2),  rappresentata
e difesa, come da procura speciale n. rep. 27992 del 19 febbraio 2014
(doc. 3), rogata dal  dott.  Tommaso  Sussarellu,  Ufficiale  rogante
della Provincia, dall'avv.  prof.  Giandomenico  Falcon  (cod.  fisc.
FLCGDM45C06L736E) di Padova, dall'avv. Nicolo' Pedrazzoli (cod. fisc.
PDRNCL56R01G428C) dell'Avvocatura della Provincia di Trento,  nonche'
dall'avv. Luigi Manzi (cod.  fisc.  MNZLGU34E15HSO1Y)  di  Roma,  con
domicilio eletto presso quest'ultimo in via Confalonieri, n. 5, Roma; 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   per   la
dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  commi
157, 179, 388, 427, primo periodo, 429, 481, 499, lettere  b)  e  c),
500, 502, 504, 508, 511, 515, terzo periodo, 516, 521, 526, 527, 711,
712, 723, 725, 727 e 729  della  legge  27  dicembre  2013,  n.  147,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014)», pubblicata nella
Gazzetta  ufficiale  n.  302  del  27  dicembre  2013  -  Supplemento
ordinario; 
    Per violazione: 
      dell'art. 8, n. 1), dello Statuto speciale; 
      dell'art. 9, n. 10), dello Statuto speciale nonche' del decreto
del Presidente della Repubblica 28 marzo 1975, n. 474; 
      degli articoli 16, 53, 54, 103, 104,  107,  108  dello  Statuto
speciale, nonche' delle correlative norme di attuazione; 
      degli articoli 87 e 88 dello Statuto speciale e del decreto del
Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 305; 
      del titolo V dello Statuto speciale, in  particolare  dell'art.
68, e del decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 1973, n.
115; 
      del titolo VI dello  Statuto  speciale,  in  particolare  degli
articoli 75, 79, 80 e  81,  e  delle  relative  norme  di  attuazione
(decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268, in  particolare  articoli
9, 10, 10-bis, 16, 17, 18 e 19); 
      del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266,  in  particolare
articoli 2 e 4; 
      del d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526, in particolare art. 8; 
      degli articoli 117, 118, 119, 120 e 136 della  Costituzione  in
combinato disposto  con  l'art.  10  della  legge  costituzionale  18
ottobre 2001, n. 3; 
      nonche' del principio di leale collaborazione, nei modi e per i
profili di seguito illustrati. 
 
                           Fatto e diritto 
 
Premessa 
    Il presente ricorso si riferisce  ad  alcune  disposizioni  della
legge 27 dicembre 2013, n. 147, Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2014). 
    Tale legge ha contenuto eterogeneo, e contenuto eterogeneo  hanno
anche le diverse disposizioni qui impugnate. 
    E'  risultato  percio'  preferibile  evitare  una   illustrazione
generale in fatto,  e  trattare  invece  direttamente  delle  singole
disposizioni impugnate, esponendo in relazione a ciascuna di esse sia
il contenuto che le censure e gli argomenti in diritto. 
1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 388 
    Il comma 388 dispone quanto segue: 
    «Anche  ai  fini   della   realizzazione   degli   obiettivi   di
contenimento della  spesa,  i  contratti  di  locazione  di  immobili
stipulati dalle amministrazioni individuate  ai  sensi  dell'art.  1,
comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196,... non possono  essere
rinnovati, qualora l'Agenzia del demanio, nell'ambito  delle  proprie
competenze, non abbia espresso nulla osta sessanta giorni prima della
data entro la quale l'amministrazione locataria puo' avvalersi  della
facolta' di comunicare il recesso dal  contratto.  Nell'ambito  della
propria competenza di monitoraggio, l'Agenzia del  demanio  autorizza
il rinnovo dei contratti di locazione, nel rispetto dell'applicazione
di prezzi medi di mercato, soltanto a condizione che  non  sussistano
immobili demaniali disponibili. I contratti stipulati  in  violazione
delle disposizioni del presente comma sono nulli». 
    Fra le amministrazioni individuate ai sensi dell'art. 1,  co.  2,
l. 196/2009 rientrano anche le Regioni,  le  Province  autonome,  gli
enti locali ed i rispettivi enti strumentali.  Per  vero,  lo  stesso
tenore tutto «intrastatale» della normativa lascia pensare  che  essa
non sia  destinata  ad  applicarsi  agli  enti  dotati  di  autonomia
costituzionale, ivi compresi i loro enti locali e strumentali. 
    Tuttavia, vista l'assenza, nella l. 147/2013, di una clausola  di
salvaguardia  delle  autonomie  speciali,   e'   possibile   che   la
disposizione in esame possa  essere  interpretata  come  direttamente
vincolante anche per le Province autonome, gli enti  locali  trentini
ed i rispettivi enti strumentali, con la conseguenza che i  contratti
di locazione stipulati dai predetti enti sarebbero sottoposti  ad  un
controllo preventivo  di  merito  da  parte  di  una  Amministrazione
statale. 
    Se questo fosse il  senso  del  comma  388,  esso  violerebbe  la
potesta' legislativa primaria  di  questa  Provincia  in  materia  di
organizzazione dei propri uffici e degli enti  paraprovinciali  e  la
corrispondente potesta' amministrativa: v. l'art. 8, n. 1), e  l'art.
16 St. o, qualora ritenuti piu' favorevoli,  l'art.  117,  co.  4,  e
l'art. 118 Cost. (in quest'ultimo senso v. la sent.  219/2013,  punto
16.5).  E'  chiaro,  infatti,  che  la  soggezione  del  rinnovo  del
contratto di locazione di immobili  al  nulla-osta  dell'Agenzia  del
demanio rappresenta una ingerenza nell'autonomia organizzativa  della
Provincia e degli enti para-provinciali, una vera  forma  di  «tutela
amministrativa» che non trova alcun fondamento nello Statuto e  nella
Costituzione. 
    L'art. 68 dello Statuto speciale stabilisce che «le province,  in
corrispondenza delle nuove materie attribuite alla  loro  competenza,
succedono, nell'ambito del proprio territorio, nei beni e nei diritti
demaniali e patrimoniali di natura immobiliare dello Stato e nei beni
e diritti demaniali e patrimoniali della regione»  (v.  anche  l'art.
108 St.); il relativo trasferimento e'  stato  concretamente  attuato
con il decreto del Presidente della Repubblica 20  gennaio  1973,  n.
115 (Norme di attuazione dello statuto speciale  per  il  Trentino  -
Alto in materia di trasferimento alle province autonome di  Trento  e
di Bolzano dei beni demaniali e  patrimoniali  dello  Stato  e  della
regione), e conseguentemente  le  funzioni  amministrative  sui  beni
demaniali e su quelli patrimoniali trasferiti a questa Provincia sono
esercitate della strutture amministrative della medesima. 
    Inoltre, ai  sensi  del  primo  comma  dell'art.  16  del  d.lgs.
268/1992, «spetta alla regione  e  alle  province  emanare  norme  in
materia di bilanci, di rendiconti, di amministrazione del  patrimonio
e di contratti della regione e delle province medesime e  degli  enti
da esse dipendenti». 
    E' dunque  pacifica  l'ingerenza  del  comma  388  nell'autonomia
organizzativa  provinciale,  spettando  alla  Provincia  disciplinare
l'organizzazione  dei  propri  uffici  e  la  gestione  del   proprio
patrimonio. 
    Tale ingerenza non potrebbe in  alcun  caso  essere  giustificata
sulla base della competenza statale in materia di coordinamento della
finanza pubblica. In primo luogo, rilevano  due  norme  speciali:  il
gia' citato art. 16 d.lgs. 268/1992  (che  attribuisce  espressamente
alla Provincia competenza sull'amministrazione del patrimonio  e  sui
contratti regionali) e l'art. 79 dello Statuto, che  regola  in  modo
esaustivo i modi in cui la Provincia concorre «all'assolvimento degli
obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario,
dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento
della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale» (co. 1),  e
al comma 3 stabilisce che, «al fine di assicurare  il  concorso  agli
obiettivi di finanza pubblica, la regione e  le  province  concordano
con il Ministro dell'economia e delle finanze gli  obblighi  relativi
al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi  di  bilancio
da conseguire in ciascun periodo», aggiungendo che «non si  applicano
le misure adottate per le regioni e per gli altri enti  nel  restante
territorio nazionale». Dunque,  l'applicazione  del  comma  388,  che
rappresenta una misura di coordinamento finanziario,  alla  Provincia
di Trento si pone in contrasto con l'art. 79 St. 
    In secondo luogo,  il  comma  388  non  rappresenta  comunque  un
principio di coordinamento, in quanto e' volto a  limitare  una  voce
ultra-minuta di spesa,  in  modo  non  temporaneo  e  senza  lasciare
margini di svolgimento alla Provincia: anche  sotto  questo  profilo,
dunque,  sono  violati  l'art.  117,  co.  3,  Cost.  e   l'autonomia
finanziaria provinciale. 
    Inoltre, la previsione di un potere preventivo di  autorizzazione
in capo  ad  un  organismo  statale  e  la  disciplina  del  relativo
procedimento si pongono in violazione del sistema  dei  rapporti  fra
Stato e Province autonome, quale risulta delineato dagli articoli  87
e 88 dello Statuto speciale e dalle relative norme di attuazione, tra
cui, in particolare, il decreto del Presidente  della  Repubblica  15
luglio 1988, n. 305, Norme di attuazione dello statuto  speciale  per
la regione Trentino - Alto Adige per l'istituzione delle  sezioni  di
controllo della corte dei conti di Trento  e  di  Bolzano  e  per  il
personale ad esse addetto. La legge statale non  puo'  introdurre,  a
carico della Provincia, controlli  statali  non  previsti  da  queste
fonti perche' la materia dei controlli rientra, appunto, nella  sfera
dei «rapporti tra Stato e Provincia», di competenza dello  Statuto  e
delle norme di attuazione. 
    Infine, il comma 388 si pone in contrasto  con  l'art.  2  d.lgs.
266/1992, in quanto  detta  una  norma  direttamente  applicabile  in
materia provinciale (organizzazione provinciale o coordinamento della
finanza pubblica); l'esistenza di un mero dovere  di  adeguamento  e'
ribadita dall'art. 79, co. 4, St.  per  le  «specifiche  disposizioni
legislative dello Stato» aventi  «finalita'  di  coordinamento  della
finanza pubblica». 
    E' pure violato l'art. 4 d.lgs. 266/1992, secondo il quale, nelle
materie di competenza della Regione e  delle  Province  autonome,  la
legge   non   puo'   attribuire   agli   organi   statali    funzioni
amministrative,   comprese   quelle   di   vigilanza,   di    polizia
amministrativa  e  di  accertamento  di  violazioni   amministrative,
diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo Statuto speciale  e
le relative norme di attuazione. Il nulla-osta contemplato dal  comma
388 e' una funzione  amministrativa  e  l'Agenzia  del  demanio,  pur
essendo un ente autonomo, e' riconducibile al  sistema  ordinamentale
statale, come risulta dalla giurisprudenza costituzionale che ammette
le Regioni a sollevare conflitto  di  attribuzioni  contro  gli  atti
delle agenzie fiscali. 
2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 157 e 179 
    Il comma 156, che non  forma  oggetto  di  impugnazione,  estende
l'arco temporale di applicazione della disciplina della rivalutazione
dei valori  di  acquisto  ai  fini  della  applicazione  dell'imposta
sostitutiva sulle plusvalenze di cui al Testo Unico delle imposte sui
redditi, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917). Nel nuovo testo l'art.  2,
co. 2, d.l. 282/2002 dispone che «le disposizioni degli articoli 5  e
7 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, e  successive  modificazioni,
si applicano anche per la rideterminazione  dei  valori  di  acquisto
delle partecipazioni non negoziate in  mercati  regolamentati  e  dei
terreni edificabili e con destinazione agricola posseduti  alla  data
del 1° gennaio 2014», e che «le imposte  sostitutive  possono  essere
rateizzate fino ad un massimo di tre rate annuali di pari importo,  a
decorrere dalla data del 30 giugno 2014». 
    E' invece impugnato il comma 157, il quale  destina  le  maggiori
entrate derivanti dal comma 156 a confluire nel «Fondo per interventi
strutturali di politica economica» di cui all'art. 10,  co.  5,  d.l.
282/2004, nella misura di 200 milioni di euro per il 2014  e  di  100
milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016. 
    Similmente,  il  comma  179  dispone  che  «le  maggiori  entrate
derivanti dai commi 151, 177 e 178,  pari  complessivamente  a  237,5
milioni di euro per l'anno 2014, a 191,7 milioni di euro  per  l'anno
2015, a 201 milioni di euro per l'anno 2016 e a 104,1 milioni di euro
a decorrere dall'anno  2017,  affluiscono  al  Fondo  per  interventi
strutturali di politica economica, di cui all'art. 10, comma  5,  del
decreto-legge 29 novembre  2004,  n.  282».  Il  comma  151  riguarda
l'imposta sostitutiva applicabile per la rivalutazione di determinati
valori contabili in relazione all'Ires: il comma 177 riguarda, per le
societa' del settore  della  raccolta  di  pubblicita'  on-line,  gli
indicatori di profitto da utilizzare ai fini della determinazione del
reddito di impresa per determinate operazioni; infine, il  comma  178
riguarda l'obbligo di utilizzo di strumenti di  pagamento  idonei  ad
assicurare la tracciabilita' di operazioni di acquisto di servizi  di
pubblicita' on-line soggette ad Iva. 
    A sua volta, il richiamato art. 10, co. 5, d.l. 282/2004  dispone
che, "al fine  di  agevolare  il  perseguimento  degli  obiettivi  di
finanza pubblica, anche  mediante  interventi  volti  alla  riduzione
della pressione fiscale, nello  stato  di  previsione  del  Ministero
dell'economia e delle finanze e' istituito  un  apposito  «Fondo  per
interventi strutturali di politica economica»...". 
    Nei  termini  esposti,  ad  avviso  della  ricorrente   Provincia
autonoma di Trento il comma 157 ed il comma 179  violano  l'autonomia
finanziaria della Provincia, e in particolare  l'art.  75  St.  e  il
d.lgs. 268/1992, che disciplina tassativamente le ipotesi di  riserva
all'erario (articoli 9, 10 e 10-bis). 
    Infatti, l'art. 75  dello  Statuto  speciale  dispone  che  «sono
attribuite  alle  province  le  seguenti  quote  del  gettito   delle
sottoindicate entrate tributarie dello Stato, percette nei rispettivi
territori provinciali:... g) i nove decimi di tutte le altre  entrate
tributarie  erariali,  dirette  o  indirette,  comunque   denominate,
inclusa l'imposta locale sui  redditi,  ad  eccezione  di  quelle  di
spettanza regionale o di altri enti pubblici». 
    La natura «erariale» dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze e
delle imposte di cui al comma 179 e'  pacifica.  Dunque,  il  maggior
gettito  riservato  allo  Stato   dalle   norme   impugnate   rientra
evidentemente  tra  le  «entrate  tributarie  erariali,   dirette   o
indirette, comunque denominate», di cui all'art. 75, co. 1, lett. g),
St. In questi termini, i nove decimi di esso spettano alla Provincia.
Percio' i commi 157 e 179 sono costituzionalmente illegittimi. 
    La fondatezza della censura sopra  esposta  non  potrebbe  essere
contestata facendo valere la clausola di possibile riserva all'erario
statale prevista dalle norme di attuazione di cui al d.lgs. 268/1992,
che al contrario risulta anch'essa violata. 
    Per quanto qui rileva, infatti, l'art. 9 di tale decreto  dispone
che  «il  gettito  derivante   da   maggiorazioni   di   aliquote   o
dall'istituzione di  nuovi  tributi,  se  destinato  per  legge,  per
finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma
1, lettera b), dell'art. 10-bis, alla copertura, ai  sensi  dell'art.
81 della Costituzione, di nuove specifiche  spese  di  carattere  non
continuativo che non rientrano  nelle  materie  di  competenza  della
regione o delle province, ivi comprese quelle  relative  a  calamita'
naturali, e' riservato  allo  Stato,  purche'  risulti  temporalmente
delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale
e quindi  quantificabile»;  si  aggiunge  poi  che  «fuori  dei  casi
contemplati nel presente articolo si applica  quanto  disposto  dagli
articoli 10 e 10-bis». 
    Per una piu' completa comprensione di  questa  clausola  conviene
ricordare che l'art. 10 regolava la «quota variabile» di cui all'art.
78 dello Statuto, quota che e' stata  soppressa  dall'art.  1,  comma
107, della legge n. 191 del 2009 (comma emanato  ai  sensi  dell'art.
104 dello Statuto di autonomia),  come  parte  del  contributo  delle
Province autonome al conseguimento degli obbiettivi di perequazione e
di stabilita'. In relazione ad essa il comma 6 dell'art. 10 stabiliva
che «una  quota  del  previsto  incremento  del  gettito  tributario,
escludendo  comunque   gli   incrementi   derivanti   dall'evoluzione
tendenziale, spettante  alle  province  autonome  e  derivante  dalle
manovre  correttive  di  finanza  pubblica   previste   dalla   legge
finanziaria e dai relativi  provvedimenti  collegati,  nonche'  dagli
altri provvedimenti legislativi aventi le medesime  finalita'  e  non
considerati  ai  fini  della  determinazione  dell'accordo   relativo
all'esercizio finanziario precedente, da  valutarsi  al  netto  delle
eventuali   previsioni   di   riduzione   di   gettito    conseguenti
all'applicazione  di   norme   connesse,   puo'   essere   destinata,
limitatamente agli esercizi previsti dall'accordo, al  raggiungimento
degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica  previsti  dai
precedenti provvedimenti». 
    A sua volta, l'art. 10-bis dispone che «entro la data di  cui  al
comma 2 dell'art. 10 e' altresi' definito l'accordo tra il Governo  e
il presidente della giunta regionale che individua: a)  la  quota  da
destinare al bilancio dello Stato del gettito tributario derivante da
maggiorazioni di aliquote di  tributi  o  dall'istituzione  di  nuovi
tributi, se destinato per legge alla copertura, ai sensi dell'art. 81
della Costituzione,  delle  spese  di  cui  all'art.  9,  qualora  il
predetto  gettito  non  risulti  distintamente   contabilizzato   nel
bilancio dello Stato, ovvero temporalmente delimitato; b) l'eventuale
quota delle spese derivanti  dall'esercizio  delle  funzioni  statali
delegate alla regione, che rimane a carico del bilancio della regione
medesima, in relazione alle disposizioni di cui al comma 6  dell'art.
10, da determinarsi nei limiti del previsto  incremento  del  gettito
tributario derivante dalle manovre correttive  di  finanza  pubblica,
nonche' tenuto conto della quota di cui alla lettera a)». 
    In altre parole,  sin  da  prima  della  modifica  dello  Statuto
concordata nel 2009 tra lo Stato e la Regione e le Province  autonome
(e  tradotta  -  a  termini  dell'art.  104  dello  Statuto  -  nelle
pertinenti disposizioni della l. n. 191 del 2009), solo attraverso lo
strumento dell'accordo possono essere riservate risorse  allo  Stato,
secondo le disposizioni degli artt. 10 e 10-bis dello  stesso  d.lgs.
n. 268/1992, al di fuori dei  rigorosi  presupposti  per  la  riserva
all'erario di cui all'art. 9 del d.lgs. 268/1992. 
    Ad avviso della ricorrente Provincia risulta  evidente  che,  nel
caso dei commi 157 e 179, non sussistono i requisiti posti  dall'art.
9 d.lgs. 268/1992 per la riserva all'erario. Innanzi  tutto,  non  si
tratta in questi casi del  «gettito  derivante  da  maggiorazioni  di
aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi». Infatti il  comma  156
non prevede una maggiorazione di aliquota  ne'  istituisce  un  nuovo
tributo, ma soltanto - come  detto  -  estende  l'arco  temporale  di
applicazione di un istituto dalla cui applicazione  derivano  entrate
fiscali seconde le regole precedenti; e neppure i commi  151,  177  e
178 prevedono maggiorazioni di aliquote o nuovi tributi. 
    Inoltre, se pure si trattasse di nuovo tributo, non sussistono  i
requisiti sintetizzati dalla sentenza di codesta Corte  n.  182/2010,
secondo la quale "tale articolo richiede, per la  legittimita'  della
riserva statale, che: a) detta riserva sia giustificata da «finalita'
diverse da quelle di cui al comma  6  dell'art.  10  e  al  comma  1,
lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso d.lgs. n. 268 del 1992,  e
cioe' da finalita' diverse tanto dal «raggiungimento degli  obiettivi
di riequilibrio della finanza pubblica» (art.  10,  comma  6)  quanto
dalla copertura di «spese  derivanti  dall'esercizio  delle  funzioni
statali delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b);  b)
il  gettito  sia  destinato  per  legge  «alla  copertura,  ai  sensi
dell'art.  81  della  Costituzione,  di  nuove  specifiche  spese  di
carattere  non  continuativo  che  non  rientrano  nelle  materie  di
competenza della  regione  o  delle  province,  ivi  comprese  quelle
relative a calamita' naturali»;  c)  il  gettito  sia  «temporalmente
delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale
e quindi quantificabile»". 
    Ora, i commi 157 e 179 non soddisfano questi requisiti per quanto
riguarda  la  finalita'  della  riserva.  Il  «Fondo  per  interventi
strutturali di politica economica», come risulta dallo  stesso  nome,
non  e'  destinato  a  «nuove  specifiche  spese  di  carattere   non
continuativo», ma a interventi  «strutturali»,  aventi  per  di  piu'
finalita' («al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi  di
finanza pubblica») corrispondente a quella esclusa dall'art. 9 d.lgs.
268/1992 . 
    Pare chiara, dunque, l'illegittimita' dei commi 157  e  179,  per
violazione dell'art. 75, lett. g), dello  Statuto  speciale  e  degli
artt. 9, 10 e 10-bis d.lgs. 268/1992. 
    Si  puo'  qui   comunque   ricordare,   ad   ulteriore   supporto
dell'argomentazione  ora  illustrata,  che  la  sent.   142/2012   ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art.  23,  comma  21,
d.l. 98/2011, «nella parte  in  cui  dispone  che  sia  integralmente
versato al bilancio dello Stato il gettito dell'addizionale  erariale
sulla  tassa  automobilistica  provinciale  percetto  nei  rispettivi
territori delle Province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  e  non
attribuisce a ciascuna di tali Province autonome  i  nove  decimi  di
detto gettito». 
    Analogo orientamento e' espresso anche nella sentenza della Corte
costituzionale n. 241  del  2012,  relativa  alle  simili  condizioni
richieste per le riserve all'erario anche dagli ordinamenti di  altre
autonomie speciali. 
    I commi 157 e 179 violano poi il principio dell'accordo che, come
risulta dalla giurisprudenza costituzionale (v.  le  sentt.  82/2007,
353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010), domina il regime dei  rapporti
finanziari fra  Stato  e  Regioni  speciali.  Tale  principio  emerge
chiaramente dal Titolo VI dello Statuto, dato che le  norme  di  esso
sono modificabili (salva la legge costituzionale di cui all'art.  103
St., adottata su parere dei consigli provinciali  e  regionale)  solo
«con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e,
per quanto di  rispettiva  competenza,  della  regione  o  delle  due
province» (art. 104) e possono essere attuate e integrate solo con la
speciale procedura paritetica di cui all'art. 107  St.  La  procedura
concertata di cui all'art.  104  e'  stata  appunto  seguita  per  le
modifiche apportate dalla l. 191/2009 e ora l'art. 79, co. 3, St.  ha
codificato il principio consensuale (comunque  sempre  seguito  dalle
leggi  statali  finanziarie)  per  la  conclusione   del   patto   di
stabilita'.  Le  sentenze  di  codesta  Corte  sopra   citate   hanno
confermato l'essenzialita' e la generalita' del principio consensuale
nella materia dei rapporti finanziari Stato-Regioni speciali. 
3) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 508 
    E' opportuno ora, di  seguito,  illustrare  l'incostituzionalita'
del comma 508, dato  che  anch'esso  prevede  un'ipotesi  di  riserva
all'erario. 
    Il comma 508 dispone che, «al  fine  di  assicurare  il  concorso
delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di  Trento
e di Bolzano all'equilibrio dei bilanci  e  alla  sostenibilita'  del
debito pubblico, in  attuazione  dell'art.  97,  primo  comma,  della
Costituzione, le nuove e  maggiori  entrate  erariali  derivanti  dal
decreto-legge 13  agosto  2011,  n.  138...  e  dal  decreto-legge  6
dicembre 2011, n. 201... sono riservate all'Erario, per un periodo di
cinque anni a decorrere dal 1° gennaio 2014, per  essere  interamente
destinate alla copertura degli  oneri  per  il  servizio  del  debito
pubblico, al fine di  garantire  la  riduzione  del  debito  pubblico
stesso  nella  misura  e  nei  tempi  stabiliti  dal  Trattato  sulla
stabilita',  sul  coordinamento  e   sulla   governance   nell'Unione
economica e monetaria, fatto a Bruxelles il 2 marzo 2012,  ratificato
ai sensi della legge 23 luglio 2012,  n.  114»  (primo  periodo).  Il
comma 508 prevede anche che,  «con  apposito  decreto  del  Ministero
dell'economia e delle finanze,  sentiti  i  Presidenti  delle  giunte
regionali interessati, da adottare entro sessanta giorni  dalla  data
di  entrata  in  vigore  della  presente  legge,  sono  stabilite  le
modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso  separata
contabilizzazione» (secondo periodo). 
    Dunque, il comma 508, primo periodo,  si  riferisce  a  tutte  le
maggiori entrate derivanti dal d.l. 138/2011 (come  quelle  derivanti
dall'art. 1, co. 6,  dall'art.  2  -  che  ad  esempio  introduce  il
contributo di solidarieta' e aumenta l'aliquota  IVA  al  21  %  -  e
dall'art. 7) e dal d.l. 201/2011. Quanto a quest'ultimo decreto, esso
prevede maggiori entrate erariali, ad esempio, all'art. 10 (a seguito
dell'emersione della base imponibile), all'art. 15  (che  aumenta  le
aliquote di accisa sui carburanti), all'art. 16 (che aumenta la tassa
automobilistica per le auto di lusso e istituisce la tassa annuale di
stazionamento  sulle  imbarcazioni   e   l'imposta   erariale   sugli
aeromobili privati), all'art.  18  (che  aumenta  le  aliquote  Iva),
all'art. 19 (che aumenta l'imposta di bollo relativa a conti correnti
e  strumenti  finanziari,  introduce  un'imposta  di  bollo  speciale
annuale sulle attivita' finanziarie che hanno  beneficiato  del  c.d.
scudo fiscale e un'imposta straordinaria per le stesse  attivita'  se
gia' prelevate dal rapporto di deposito,  istituisce  un'imposta  sul
valore degli immobili situati all'estero e istituisce un'imposta  sul
valore delle attivita' finanziarie detenute all'estero dalle  persone
fisiche residenti  nel  territorio  dello  Stato),  all'art.  20  (in
materia di riallineamento delle partecipazioni) e all'art. 24 (il cui
comma 31 regola la tassazione delle indennita' di  fine  rapporto  di
importo complessivamente eccedente euro 1.000.000 e  dei  compensi  e
indennita' a  qualsiasi  titolo  erogati  agli  amministratori  delle
societa' di capitali, ed il cui comma 31-bis aumenta il contributo di
solidarieta' sulle c.d. pensioni d'oro). 
    Dunque, anche il comma 508 (come  i  commi  157  e  179)  riserva
interamente all'erario maggiori entrate  che  spettano,  invece,  pro
quota a questa Provincia, ai sensi dell'art. 75 St. (sul quale v.  il
punto precedente). 
    Questa Provincia ha gia'  impugnato  con  ricorso  142/2011  (che
sara' discusso all'udienza del 20 maggio 2014)  il  comma  3,  ultimo
periodo, ed il comma 36 dell'art. 2  del  decreto-legge  n.  138  del
2011,  che  riservano  all'erario  le  maggiori  entrate   tributarie
disposte nello  stesso  decreto-legge  n.  138  del  2011;  ha  anche
impugnato con ricorso 34/2012 l'art.  48  d.l.  201/2011,  in  quanto
diretto a riservare  al  bilancio  dello  Stato  il  maggior  gettito
fiscale derivante dalle  maggiori  entrate  tributarie  disposte  dal
medesimo decreto. 
    Neppure  la  riserva  disposta  dal  comma  508,  primo  periodo,
soddisfa  i  requisiti  di  cui  all'art.  9  d.lgs.  268/1992,  come
illustrati al punto precedente. Infatti, la finalita'  della  riserva
(«copertura degli oneri per il servizio del debito pubblico, al  fine
di garantire la riduzione del debito  pubblico  stesso»)  corrisponde
(come risulta anche dai commi 511 e 515: v. infra) a  quella  esclusa
dall'art. 9 («raggiungimento degli obiettivi  di  riequilibrio  della
finanza pubblica»). 
    E' opportuno ricordare che per tale obiettivo lo Statuto  prevede
(come tra breve si dira') diversi e appropriati strumenti, ma esclude
lo strumento della semplice riserva all'erario. 
    Inoltre, se pure la finalita' e  la  destinazione  delle  risorse
fossero appropriate, sarebbe comunque  da  rimarcare  che  mancano  i
caratteri della novita', della  specificita'  e  della  temporaneita'
delle spese statali a cui la riserva di gettito  prevista  dal  comma
508 e' destinata. Anche sotto questo profilo, dunque, la riserva  non
corrisponde al modello normativo che la renderebbe ammissibile. 
    E' da sottolineare che  la  sent.  241/2012  ha  gia'  dichiarato
l'incompatibilita' dell'analoga riserva prevista  dal  d.l.  138/2011
con alcune norme di Statuti  di  altre  Regioni  speciali  del  tutto
simili all'art. 9 d.lgs. 268/1992. Il comma 508, dunque, si  pone  in
contrasto  anche  con  il  giudicato  costituzionale,  in  violazione
dell'art. 136 Cost. 
    Inoltre, la norma impugnata non rispetta l'art. 10, co. 6  (nella
denegata ipotesi che esso sia ritenuto applicabile: v. il  punto  1),
anche perche' riserva all'erario tutte «le maggiori entrate»,  mentre
la norma di attuazione limita ad «una quota del  previsto  incremento
del  gettito  tributario»  la  possibilita'   di   destinazione   «al
raggiungimento  degli  obiettivi  di   riequilibrio   della   finanza
pubblica». 
    Infine, il comma 508  viola  l'art.  12  l.  243/2012,  la'  dove
consente solo «nelle fasi favorevoli del ciclo economico» di porre  a
carico  degli  enti  territoriali  un   contributo   al   Fondo   per
l'ammortamento dei titoli di Stato, e solo «tenendo conto della quota
di  entrate  proprie  degli  enti  di  cui  al  comma  1  influenzata
dall'andamento del ciclo economico». Considerato che il comma 508  si
applica dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2018 e che  l'art.  12  l.
243/2012 si applica dal 1° gennaio 2016 (v.  l'art.  21,  co.  3,  l.
243/2012), da tale data fino al 31 dicembre 2018 la riserva  prevista
dal comma 508 si pone in contrasto con l'art.  12  l.  243/2012,  che
puo'  fungere  da  parametro  perche'  si   tratta   di   una   legge
«rinforzata», approvata a maggioranza assoluta dalle Camere ai  sensi
dell'art. 81, co. 6, Cost. 
    Il comma 508, primo periodo, viola anche  l'art.  79  St.  ed  il
principio  dell'accordo  che,  come  risulta   dalla   giurisprudenza
costituzionale (v. le sentt.  82/2007,  353/2004,  39/1984,  98/2000,
133/2010), governa il regime dei  rapporti  finanziari  fra  Stato  e
Regioni speciali: v. l'ultimo capoverso del punto 2. 
    L'art. 79 stabilisce che «le province concorrono al conseguimento
degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' e all'esercizio dei
diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche'  all'assolvimento
degli  obblighi  di  carattere  finanziario  posti   dall'ordinamento
comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilite  dalla   normativa
statale» nei  modi  di  seguito  indicati  e  «con  le  modalita'  di
coordinamento della finanza pubblica definite al comma  3»  (co.  1),
aggiungendo  che  «le  misure  di  cui  al  comma  1  possono  essere
modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'art.  104  e
fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli
obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1» (co. 2). 
    Sia il comma 3 («Non si  applicano  le  misure  adottate  per  le
regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale»)  che
il comma 4, poi, stabiliscono la non applicazione alle Province delle
norme statali che, in questa materia, valgono per altre Regioni. 
    Poiche' il comma 508 riserva le maggiori entrate «alla  copertura
degli oneri per il servizio del debito pubblico, al fine di garantire
la riduzione del debito pubblico stesso  nella  misura  e  nei  tempi
stabiliti dal Trattato sulla stabilita', sul  coordinamento  e  sulla
governance nell'Unione economica e monetaria, fatto a Bruxelles il  2
marzo 2012», ne deriva la violazione delle norme  -  sopra  citate  -
contenute nell'art. 79 St., che configurano un  sistema  completo  di
concorso delle Province agli «obblighi di carattere finanziario posti
dall'ordinamento comunitario», non derogabile se non con le modalita'
previste dallo Statuto. 
    In  effetti,  e'  assolutamente  incongruo  e  ad  avviso   della
Provincia  illegittimo  che  lo  Stato,  con   una   fonte   primaria
unilateralmente adottata, alteri in modo  cosi'  rilevante  l'assetto
dei rapporti finanziari tra Stato e Provincia, laddove  il  principio
consensuale e' da tempo riconosciuto in questa materia  ed  e'  stato
ribadito proprio con la riforma statutaria di cui alla  l.  191/2009,
frutto essa stessa di un solenne accordo tra  lo  Stato,  la  Regione
Trentino Alto Adige/Sűdtirol e le Province autonome di  Trento  e  di
Bolzano. 
    Il secondo periodo  del  comma  508  dispone  che  «con  apposito
decreto del  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze,  sentiti  i
Presidenti delle giunte  regionali  interessati,  da  adottare  entro
sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge,
sono stabilite le modalita' di individuazione  del  maggior  gettito,
attraverso separata contabilizzazione». Si tratta dunque di una norma
volta a regolare l'attuazione del primo periodo: la quale,  pertanto,
e' affetta in via derivata dai medesimi vizi sopra illustrati. 
    In  subordine,  essa  e'  poi   censurabile   specificamente   ed
autonomamente sotto  un  ulteriore  aspetto,  cioe'  per  la  mancata
previsione dell'intesa con la Provincia di  Trento  in  relazione  al
decreto che stabilisce le modalita'  di  individuazione  del  maggior
gettito. Infatti, poiche' si tratta di  intervenire  in  relazione  a
risorse che spetterebbero alla Provincia, in una materia dominata dal
principio  consensuale,  risulta  specificamente   illegittima,   per
violazione del principio di leale collaborazione, la previsione di un
decreto ministeriale senza intesa con la Provincia di Trento. 
4) In connessione. Illegittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma
511 
    Il comma 511 dispone che «le disposizioni di cui  ai  commi  508,
510 e 526 cessano di avere  applicazione  qualora  vengano  raggiunte
intese, entro il 30 giugno 2014, tra lo Stato  e  ciascuna  autonomia
speciale in merito all'adozione di interventi diversi,  in  grado  di
concorrere in misura corrispondente al conseguimento degli  obiettivi
di finanza pubblica per il periodo  considerato  nei  medesimi  commi
508, 510 e 526». 
    La ricorrente Provincia non contesta il comma 511 in quanto  esso
prevede una possibile intesa: al contrario, essa ha argomentato  come
lo strumento dell'intesa sia esattamente quello previsto dal  sistema
statutario, ed in particolare dall'art. 79 dello Statuto. 
    Essa lo contesta, invece, sotto profili diversi. 
    In primo luogo, prevedendo una possibile misura alternativa  alla
riserva di cui al comma 508 (sul quale v. il punto 3) e all'ulteriore
concorso alla finanza pubblica di cui al  comma  526  (sul  quale  v.
infra),  esso  conferma  che  la  finalita'  del  comma  508  e'   il
«conseguimento  degli  obiettivi  di  finanza  pubblica»,  cioe'   la
finalita' esclusa dall'art. 9 d.lgs. 268/1992. Sotto questo  profilo,
il  comma   511   rende   ancora   piu'   evidente   l'illegittimita'
costituzionale del comma 508. 
    In secondo luogo, rinviando ai commi 508 e 526,  esso  presuppone
la legittimita' delle riserve all'erario di cui al comma  508  e  dei
concorsi previsti dal comma 526, e quindi  risulta  anch'esso  lesivo
dei medesimi parametri violati dalle disposizioni di  cui  presuppone
la legittimita'. 
    Infine, il comma 511 pretende di  vincolare  il  contenuto  delle
intese che possono essere raggiunte tra lo Stato e ciascuna autonomia
speciale ad  un  risultato  «corrispondente  al  conseguimento  degli
obiettivi di finanza pubblica per il periodo considerato nei medesimi
commi 508, 510 e 526». 
    Ora, e' evidente che, quando lo Statuto afferma che  il  concorso
della Provincia autonoma di Trento e'  determinato  d'intesa  con  lo
Stato, ne' i contenuti ne' gli effetti di tale intesa possono  essere
vincolati a priori unilateralmente dalla legge ordinaria. 
5)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  515,  terzo
periodo 
    Il comma 515 dispone, nei suoi primi tre periodi, quanto segue: 
    «Mediante intese tra lo Stato, la  regione  Valle  d'Aosta  e  le
province autonome di Trento e di Bolzano, da concludere entro  il  30
giugno 2014, sono definiti gli  ambiti  per  il  trasferimento  o  la
delega  delle  funzioni  statali  e  dei  relativi  oneri  finanziari
riferiti, in particolare, ai servizi ferroviari di  interesse  locale
per la Valle  d'Aosta,  alle  Agenzie  fiscali  dello  Stato  e  alle
funzioni amministrative, organizzative e di supporto  riguardanti  la
giustizia  civile,  penale  e  minorile,  con  esclusione  di  quelle
relative al personale di magistratura,  nonche'  al  Parco  nazionale
dello Stelvio, per le province autonome di Trento e di  Bolzano.  Con
apposite  norme  di  attuazione  si  provvede  al  completamento  del
trasferimento  o  della  delega  delle   funzioni   statali   oggetto
dell'intesa. Laddove  non  gia'  attribuiti,  l'assunzione  di  oneri
avviene in luogo e nei limiti delle riserve di cui al  comma  508,  e
computata quale concorso al riequilibrio della finanza  pubblica  nei
termini dello stesso comma». 
    Anche il terzo periodo del comma 515, dunque, prevede una «misura
alternativa» alla riserva di cui al comma 508 ed e'  illegittimo,  in
primo  luogo,  nella  parte  in  cui  presuppone  la  legittimita'  e
l'operativita'  del  comma  508.  Anch'esso,  poi,  conferma  che  la
finalita' del comma 508 e' il «concorso al riequilibrio della finanza
pubblica», cioe' la finalita' esclusa dall'art. 9 d.lgs. 268/1992. 
    Inoltre, esso pone a carico delle Province autonome gli oneri per
le funzioni  statali  trasferite  e  delegate  ed  appare  quindi  in
contrasto con le norme statutarie che  definiscono  i  termini  e  le
modalita' del concorso delle medesime agli obiettivi  di  risanamento
della finanza pubblica, ed, in particolare, con l'art. 79,  comma  1,
lettera  c),  il  quale  prevede  che  le  Province   concorrano   al
riequilibrio della finanza pubblica anche  mediante  l'assunzione  di
oneri relativi all'esercizio di  funzioni  statali,  anche  delegate,
definite d'intesa con il Ministero dell'Economia e delle finanze, nei
limiti dell'importo di 100 milioni di euro annui. 
    Tale norma statutaria deroga alla regola generale  dell'art.  16,
comma terzo, dello Statuto speciale, in base al quale «lo Stato  puo'
inoltre delegare, con legge, alla regione, alla provincia e ad  altri
enti pubblici locali funzioni proprie della sua  amministrazione»,  e
«in tal caso l'onere  delle  spese  per  l'esercizio  delle  funzioni
stesse resta a carico dello Stato». 
    L'art. 16 St. trova  specifica  attuazione  nell'art.  14  d.lgs.
268/1992, in base al quale «per l'esercizio delle  funzioni  delegate
di cui all'art. 16 dello statuto, lo Stato provvede a  rimborsare  la
regione e le province delle spese  dalle  stesse  sostenute»,  e  «la
relativa quantificazione e' disposta sulla base dei criteri  previsti
nelle singole norme di delega, ovvero d'intesa tra il  Governo  ed  i
presidenti delle rispettive giunte». 
    Risulta dunque illegittima la previsione di  deleghe  statali  da
finanziare autonomamente da parte della Provincia di  Trento,  al  di
la' di quanto espressamente previsto per tale istituto  dall'art.  79
dello Statuto, nella parte in cui tale finanziamento e' correlato  ai
(e condizionato dai) vincoli posti unilateralmente, di cui  al  comma
508. 
6)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  427,  primo
periodo, e del comma 429 
    Il comma 427,  primo  periodo,  dispone  che  «sulla  base  degli
indirizzi indicati dal Comitato  interministeriale  di  cui  all'art.
49-bis, comma 1, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito,
con  modificazioni,  dalla  legge  9   agosto   2013,   n.   98,   in
considerazione delle attivita' svolte dal  Commissario  straordinario
di cui al comma 2 del medesimo articolo e delle  proposte  da  questi
formulate,  entro  il  31  luglio  2014  sono  adottate   misure   di
razionalizzazione e di revisione della  spesa,  di  ridimensionamento
delle strutture, di riduzione delle spese per beni e servizi, nonche'
di ottimizzazione dell'uso degli immobili tali da  assicurare,  anche
nel bilancio di previsione, una riduzione della spesa delle pubbliche
amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, della legge  31  dicembre
2009, n. 196, in misura non inferiore a 488,4  milioni  di  euro  per
l'anno 2014, a 1.372,8 milioni di euro per  l'anno  2015,  a  1.874,7
milioni di euro per gli anni 2016 e 2017 e a 1.186,7 milioni di  euro
a decorrere dall'anno 2018». 
    Il richiamato art. 49-bis, co.  1,  d.l.  69/2013  istituisce  un
comitato  interministeriale  «al  fine  di  coordinare  l'azione  del
Governo e le politiche volte all'analisi e al  riordino  della  spesa
pubblica e migliorare la qualita' dei servizi pubblici  offerti».  Il
comma 2 dispone che, «ai fini della razionalizzazione della  spesa  e
del coordinamento della finanza pubblica, il Presidente del Consiglio
dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze,
puo' nominare con proprio decreto un Commissario  straordinario,  con
il compito di formulare indirizzi  e  proposte,  anche  di  carattere
normativo, nelle materie e per i soggetti di cui al  comma  1,  terzo
periodo». 
    Fra le amministrazioni individuate ai sensi dell'art. 1,  co.  2,
l. 196/2009 rientrano anche le Regioni,  le  Province  autonome,  gli
enti locali ed i rispettivi enti strumentali. 
    Il comma 429 si  occupa  della  misura  in  cui  le  Regioni,  le
Province autonome e gli enti locali debbono contribuire al  risparmio
complessivo, ed a questo scopo stabilisce che «a seguito delle misure
di cui al comma 427, per gli anni 2015, 2016 e 2017 le regioni  e  le
province autonome, a  valere  sui  risparmi  connessi  alle  predette
misure,  assicurano  un  contributo  alla  finanza  pubblica  pari  a
complessivi 344 milioni di euro, mediante gli importi di cui ai commi
449-bis e 454 dell'art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228,  come
modificato dai commi 497 e 499  del  presente  articolo».  Parimenti,
«per gli anni 2016 e 2017 gli enti locali,  mediante  le  percentuali
recate ai commi 2 e 6 dell'art. 31 della legge 12 novembre  2011,  n.
183, come modificate dai commi  532  e  534  del  presente  articolo,
assicurano un contributo di 275 milioni di euro annui per i comuni  e
di 69 milioni di euro annui per le province». 
    A chiarimento del meccanismo, conviene ricordare  che  l'art.  1,
co. 454, l. 228/2012 prevede una riduzione delle spese di 34  milioni
di euro, ad opera  di  questa  Provincia,  per  gli  anni  2015-2017.
Conviene inoltre ricordare che le percentuali recate dai commi 2 e  6
dell'art. 31 l.  183/2011,  come  modificate  dai  commi  532  e  534
dell'art. 1 l. 147/2013, sono stabilite ai fini della  determinazione
dell'obbiettivo  di  saldo  finanziario  degli  enti  locali  e  sono
applicate alla media della spesa corrente dei predetti enti  riferita
ad un determinato  periodo;  le  modificazioni  introdotte  dalla  l.
147/2013 consistono nella diversificazione delle predette percentuali
stabilendo una variazione a cadenza biennale a decorrere dal 2014. 
    In sintesi, il comma  427,  primo  periodo,  determina  l'importo
complessivo annuo della riduzione delle spese di tutte  le  pubbliche
amministrazioni  (riduzione  operata  sulla  base   degli   indirizzi
indicati  dal  Comitato  interministeriale),  mentre  il  comma   429
determina l'importo a carico degli  enti  territoriali  e  ripartisce
l'onere fra di essi, prevedendo un ulteriore contributo alla  finanza
pubblica, che si aggiunge ai numerosi  contributi  gia'  previsti  da
diverse leggi in questi anni. 
    Le norme cosi' descritte violano  l'autonomia  finanziaria  della
Provincia  e,  in  particolare,  l'art.  79  St.  che,  come   visto,
stabilisce che  «le  province  concorrono...  all'assolvimento  degli
obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario,
dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento
della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale» nei modi di
seguito indicati e «con le modalita' di coordinamento  della  finanza
pubblica definite al comma 3» (co. 1), precisando che «le  misure  di
cui al comma  1  possono  essere  modificate  esclusivamente  con  la
procedura  prevista  dall'art.  104  e  fino  alla   loro   eventuale
modificazione costituiscono il concorso  agli  obiettivi  di  finanza
pubblica di cui al comma 1» (co. 2). 
    Il richiamato comma 3 dispone che,  «al  fine  di  assicurare  il
concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione e le province
concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi
relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai  saldi  di
bilancio da conseguire in  ciascun  periodo»;  che,  inoltre,  «fermi
restando gli obiettivi complessivi di finanza pubblica,  spetta  alle
province stabilire gli  obblighi  relativi  al  patto  di  stabilita'
interno e provvedere alle funzioni di coordinamento  con  riferimento
agli enti locali,  ai  propri  enti  e  organismi  strumentali,  alle
aziende sanitarie, alle universita' non statali di cui all' art.  17,
comma 120, della legge  15  maggio  1997,  n.  127,  alle  camere  di
commercio, industria, artigianato e agricoltura e agli altri enti  od
organismi a ordinamento  regionale  o  provinciale  finanziati  dalle
stesse in via ordinaria», e che, infine, «non si applicano le  misure
adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante  territorio
nazionale». 
    Ora, sembra evidente che disposizioni  come  quelle  dettate  dai
commi 427, primo periodo, e 429, che hanno chiaramente uno  scopo  di
coordinamento della finanza pubblica (tramite  la  limitazione  della
spesa pubblica), sono esattamente quelle di cui l'art. 79 afferma che
non si applicano alla Provincia autonoma di Trento. Ed  esse  non  si
applicano  non  perche'  la  Provincia  sia   estranea   al   sistema
complessivo della finanza pubblica, ma perche' le  regole  della  sua
partecipazione a tale sistema sono definite  in  termini  precisi  ed
alternativi  dall'art.  79  dello  Statuto.  Infatti,  la   Provincia
concorda il saldo di bilancio da conseguire nei diversi  anni,  sulla
base dell'art. 79, co. 3, St.: sicche' risulta poi del tutto assurdo,
prima ancora che costituzionalmente illegittimo,  che  essa  si  veda
imporre unilateralmente ulteriori riduzioni di spesa. 
    Le norme impugnate violano anche il principio  dell'accordo  che,
come  risulta  dalla  giurisprudenza  costituzionale  (v.  le  sentt.
82/2007, 353/2004, 39/1984, 98/2000, 133/2010), domina il regime  dei
rapporti  finanziari  fra  Stato  e  Regioni  speciali:  v.  l'ultimo
capoverso del punto 2. 
    Inoltre, la norma secondo la quale le misure di razionalizzazione
della spesa debbano  essere  adottate  «sulla  base  degli  indirizzi
indicati dal Comitato interministeriale» e «in  considerazione  delle
attivita' svolte dal Commissario straordinario» pone un  vincolo  che
comporta una  lesione  dell'autonomia  legislativa  e  amministrativa
della Provincia in materia di organizzazione (art. 8, n. 1, e art. 16
St. o, qualora ritenuti piu' favorevoli, l'art. 117, co. 4, e  l'art.
118 Cost.: in quest'ultimo senso v. la sent. 219/2013, punto 16.5). 
    Se e' vero che il comma 427 non detta esso  stesso  le  norme  di
dettaglio, e' anche vero che, invece  di  lasciare  alle  Regioni  la
scelta degli strumenti per raggiungere l'obiettivo di risparmio, esso
rinvia ad un'anomala fonte secondaria (gli «indirizzi» del Comitato),
con violazione anche degli artt. 53 e 54 dello Statuto (che prevedono
la potesta' regolamentare della Provincia),  dell'art.  117,  co.  6,
Cost. e dell'art. 2 d.lgs. 266/1992, che preclude l'adozione di fonti
secondarie nelle materie provinciali. 
    Qualora poi  gli  «indirizzi»  fossero  considerati  un  atto  di
indirizzo e coordinamento, il comma 427 sarebbe comunque  illegittimo
per violazione dell'art. 3 d.lgs. 266/1992, per la mancata previsione
della competenza del  Consiglio  dei  ministri  e  del  parere  delle
Province.  Qualora  gli  «indirizzi»  fossero  considerati  un   atto
amministrativo, il comma 427 violerebbe l'art. 4 d.lgs. 266/1992,  in
base al quale «nelle materie di competenza propria  della  regione  o
delle province autonome la legge  non  puo'  attribuire  agli  organi
statali funzioni amministrative, comprese  quelle  di  vigilanza,  di
polizia   amministrativa   e   di    accertamento    di    violazioni
amministrative, diverse da quelle spettanti  allo  Stato  secondo  lo
statuto speciale e le relative norme di attuazione». In generale,  il
comma 427, primo  periodo,  viola  comunque  il  principio  di  leale
collaborazione in quanto non prevede  il  coinvolgimento  degli  enti
territoriali nell'adozione di «indirizzi» che intervengono in materie
regionali  (organizzazione  interna  e  coordinamento  della  finanza
pubblica) e  sono  destinati  a  condizionare  pesantemente  la  loro
autonomia. 
    Infine, i commi 427, primo periodo, e 429, nella parte in cui  si
applicano agli enti locali trentini e  agli  enti  strumentali  della
Provincia, violano l'art. 79,  co.  3,  St.,  la'  dove  affida  alla
Provincia il potere di «stabilire gli obblighi relativi al  patto  di
stabilita' interno e provvedere alle funzioni  di  coordinamento  con
riferimento agli enti locali, ai propri enti e organismi strumentali,
alle aziende sanitarie». 
    Tali norme ledono anche la competenza provinciale in  materia  di
finanza locale, prevista dagli artt. 16, 80 e 81 St. E' da  segnalare
che l'art. 80 e' stato modificato dall'art. 1, comma 518, l. 147/2013
(approvato ai sensi e per gli effetti dell'art. 104 dello Statuto  di
autonomia), e che in forza di cio'  la  competenza  in  questione  ha
assunto ora carattere primario. L'art. 80 e' stato attuato  dall'art.
17 d.lgs. 268/1992, il cui comma 3 dispone che  «nel  rispetto  delle
competenze  regionali  in  materia  di  ordinamento  dei  comuni,  le
province  disciplinano  con  legge  i  criteri  per   assicurare   un
equilibrato sviluppo della finanza comunale, ivi  compresi  i  limiti
all'assunzione   di    personale,    le    modalita'    di    ricorso
all'indebitamento,   nonche'    le    procedure    per    l'attivita'
contrattuale». E' dunque  illegittima  la  sostituzione  della  legge
ordinaria  statale  nell'esercizio  di  una  competenza  propria  del
legislatore provinciale. 
7) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 481 
    Il  comma  481  dispone  quanto   segue:   «Per   effetto   delle
disposizioni di cui ai commi 452, 453, 454, 455 e 456 il livello  del
finanziamento  del  Servizio   sanitario   nazionale   cui   concorre
ordinariamente lo Stato e' ridotto di 540 milioni di euro per  l'anno
2015 e 610 milioni di euro a decorrere dall'anno  2016.  La  predetta
riduzione e' ripartita tra le  regioni  e  le  province  autonome  di
Trento e di Bolzano secondo criteri e modalita' proposti in  sede  di
autocoordinamento dalle regioni e province autonome di  Trento  e  di
Bolzano medesime, da recepire, in  sede  di  espressione  dell'intesa
sancita dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo  Stato,  le
regioni e le  province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  per  la
ripartizione del fabbisogno sanitario nazionale standard, entro il 30
giugno 2014. Qualora non  intervenga  la  proposta  entro  i  termini
predetti, la riduzione e' attribuita secondo gli ordinari criteri  di
ripartizione del fabbisogno sanitario nazionale standard. Le  regioni
a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano,  ad
esclusione della Regione siciliana, assicurano il concorso di cui  al
presente comma mediante le  procedure  previste  dall'art.  27  della
legge 5 maggio 2009,  n.  42.  Fino  all'emanazione  delle  norme  di
attuazione di cui al predetto art. 27, l'importo  del  concorso  alla
manovra di cui al presente comma e' annualmente accantonato, a valere
sulle quote di compartecipazione ai  tributi  erariali».  Dunque,  il
comma 481 regola il concorso delle Regioni  speciali  alla  riduzione
del livello del fabbisogno del Servizio  sanitario  nazionale  e  del
correlato  finanziamento.  La  norma  e'  corrispondente   a   quelle
contenute  nell'art.  15,  co.  22,  d.l.  95/2012  (impugnato  dalla
ricorrente Provincia con il ricorso 156/2012) e nell'art. 1, co. 132,
l. 228/2012 (impugnato dalla  ricorrente  Provincia  con  il  ricorso
35/2013). 
    Data l'identita' delle disposizioni, anche il comma  481  risulta
illegittimo per le medesime ragioni svolte nel  gia'  citato  ricorso
35/2013, che si possono qui richiamare. «Vanno  premesse[...]  alcune
considerazioni generali. Lo Statuto speciale del Trentino-Alto  Adige
attribuisce alle Province autonome potesta'  legislativa  concorrente
in materia di igiene e sanita', ivi compresa  l'assistenza  sanitaria
ed ospedaliera, e la corrispondente potesta' amministrativa (art.  9,
n. 10), e art. 16) St.). Tali norme statutarie sono state attuate  ed
integrate con il dPR 28 marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello
statuto per la regione Trentino - Alto Adige in materia di  igiene  e
sanita') e con il dPR 26 gennaio 1980, n. 197  (Norme  di  attuazione
dello statuto speciale per  il  Trentino  -  Alto  Adige  concernenti
integrazioni alle norme di attuazione in materia di igiene e  sanita'
approvate con d.P.R. 28 marzo 1975, n. 474). 
    La competenza della Provincia di Trento in materia di sanita'  si
e' ampliata a seguito della riforma del Titolo V, in quanto  ad  essa
si estende la competenza di cui all'art.  117,  co.  3,  Cost.,  che,
secondo codesta Corte, e' «assai piu' ampia» di quella prevista dallo
Statuto (sentt. 240/2007, 162/2007 e 181/2006). 
    Tuttavia,  l'autonomia  della  Provincia  di  Trento   in   campo
sanitario ha ormai da quasi due decenni  una  caratteristica  che  la
differenzia radicalmente dalla condizione  delle  Regioni  ordinarie.
Infatti, in relazione all'assetto statutario delle  competenze  sopra
descritto e quale concorso delle Province  autonome  al  riequilibrio
della finanza pubblica nazionale, gia'  l'art.  34,  comma  3,  della
legge 23 dicembre 1994, n. 724, ha disposto che le Province  autonome
di Trento e di  Bolzano  provvedono  al  finanziamento  del  Servizio
sanitario nazionale nei rispettivi territori, senza alcun  apporto  a
carico del bilancio  dello  Stato,  utilizzando  prioritariamente  le
entrate derivanti dai  contributi  sanitari  e  dalle  altre  imposte
sostitutive e, ad integrazione, le risorse dei propri bilanci. 
    Del resto, questa specifica disposizione in tema di finanziamento
del servizio sanitario e' parte del piu' ampio sistema dell'autonomia
finanziaria provinciale. 
    Il quadro statutario in materia finanziaria si caratterizza,  tra
l'altro, per la previsione  espressa  di  una  disposizione  volta  a
disciplinare in modo completo i termini e le modalita'  del  concorso
della Regione  e  delle  Province  autonome  al  conseguimento  degli
obiettivi di perequazione e di solidarieta', nonche' all'assolvimento
degli  obblighi  di  carattere  finanziario  posti   dall'ordinamento
comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure  di
coordinamento  della  finanza  pubblica  stabilite  dalla   normativa
statale (art. 79, co. 1, St.). Tali misure «possono essere modificate
esclusivamente con la procedura prevista dall'art. 104  e  fino  alla
loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi
di finanza pubblica di cui al comma 1». 
    L'art. 79, co. 3, stabilisce  che,  «al  fine  di  assicurare  il
concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione e le province
concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi
relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai  saldi  di
bilancio da  conseguire  in  ciascun  periodo».  Fermi  restando  gli
obiettivi complessivi di  finanza  pubblica,  «spetta  alle  province
stabilire gli obblighi relativi al  patto  di  stabilita'  interno  e
provvedere alle funzioni di coordinamento con riferimento  agli  enti
locali,  ai  propri  enti  e  organismi  strumentali,  alle   aziende
sanitarie...», e «non si applicano le misure adottate per le  regioni
e per gli altri enti nel restante territorio nazionale». Le  province
«vigilano sul raggiungimento degli obiettivi di finanza  pubblica  da
parte degli enti di cui al presente comma ed esercitano sugli  stessi
il controllo successivo sulla gestione dando notizia degli esiti alla
competente sezione della Corte dei conti». 
    Anche il comma 4 ribadisce che «le disposizioni statali  relative
all'attuazione degli obiettivi di  perequazione  e  di  solidarieta',
nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di  stabilita'
interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle
province e sono in  ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal
presente articolo». Tenuto conto della speciale autonomia finanziaria
della Provincia, sia nel settore sanitario che in generale, lo  Stato
non puo' limitare le spese provinciali in campo  sanitario.  Poiche',
come sopra esposto, le Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano
provvedono al finanziamento  del  Servizio  sanitario  nazionale  nei
rispettivi territori, senza alcun apporto a carico del bilancio dello
Stato, ne deriva che «lo Stato, quando non concorre al  finanziamento
della spesa  sanitaria,  neppure  ha  titolo  per  dettare  norme  di
coordinamento finanziario» (sentenze n. 341 del 2009  e  n.  133  del
2010). 
    Inoltre, le limitazioni sarebbero incongrue anche se  commisurate
alla generale autonomia finanziaria provinciale, quale definita dalle
disposizioni sopra illustrate del Titolo VI dello Statuto.  Da  esse,
ed in particolare dalla disciplina di  cui  all'art.  79  St.  e  dal
principio dell'accordo, che domina il regime dei rapporti  finanziari
tra Stato e autonomie speciali (Corte costituzionale, sentenze n.  82
del 2007, n. 353 del 2004, n. 39 del 1984, n. 98 del 2000  e  n.  133
del 2010), risulta che la Provincia non e' soggetta  alle  misure  di
coordinamento finanziario  relative  alle  Regioni  ordinarie,  ma  a
quelle stabilite  a  priori  dallo  Statuto  ed  a  quelle  ulteriori
concordate con lo Stato. 
    In  definitiva,  e'  illegittima  l'assimilazione  alle   Regioni
ordinarie della Provincia di Trento, che finanza con proprie  risorse
il SSN ed e' dotata di uno speciale regime per quel che  riguarda  il
concorso agli obiettivi  di  finanza  pubblica,  regime  che  prevede
espressamente, tra l'altro, il potere della Provincia di  «provvedere
alle  funzioni  di  coordinamento  con  riferimento...  alle  aziende
sanitarie» (art. 79, comma 3, statuto). 
    Premesso cio', valgono anche avverso l'art. 1, comma  132,  della
l. 228/2012 [ed ora avverso l'art. 1,  comma  481,  l.  147/2013]  le
seguenti argomentazioni, gia'  svolte  nel  ricorso  156/2012  contro
l'art. 15, co. 22, d.l. 95/2012: 
    «Dunque,  nella  disciplina   cosi'   stabilita   le   norme   di
razionalizzazione della spesa contenute nell'art. 15 costituiscono la
premessa  di  un  minor  fabbisogno  e  di   un   minore   «correlato
finanziamento», cioe' di una minore dimensione  del  Fondo  sanitario
nazionale: che poi si traduce, ovviamente, in un minor  trasferimento
di risorse dallo Stato alle Regioni che partecipano di tale fondo. 
    Sin qui il meccanismo e' logico. 
    Non si puo' dire ugualmente della applicazione delle disposizioni
sopra descritte alle autonomie speciali nelle quali la sanita'  e'  a
carico della Regione stessa: come accade appunto per la Provincia  di
Trento. 
    In esse non esiste un  separato  finanziamento  per  il  servizio
sanitario, che e' invece finanziato  con  il  bilancio  generale.  La
Provincia, che finanzia in proprio  il  servizio,  rivendica  -  come
esposto ai punti precedenti - di non  essere  soggetta  alle  forzose
riduzioni dei livelli delle prestazioni sopra descritti. Ma ove  tali
riduzioni si verificassero - e con esse un minore livello di spesa  -
si tratterebbe  pur  sempre  di  una  minore  incidenza  della  spesa
sanitaria  sull'autonomo   bilancio   complessivo   della   Provincia
autonoma, come definito dalle entrate che lo Statuto  attribuisce  ad
essa e dalle spese necessarie o opportune. 
    Nel meccanismo ideato dalle  norme  qui  contestate,  invece,  la
violazione dell'autonomia  della  Provincia  nella  organizzazione  e
gestione del servizio sanitario, con la forzosa  riduzione  dei  suoi
livelli, si traduce addirittura  in  una  forzosa  acquisizione  allo
Stato delle risorse che  lo  statuto  di  autonomia  garantisce  alla
Provincia autonoma. Tale, e non altro, e' infatti il significato  del
passaggio di risorse  da  tali  autonomie  speciali  allo  Stato.  La
lesione si raddoppia: alla violazione dell'autonomia  nelle  finzioni
si somma l'illegittima sottrazione di risorse. 
    E' dunque costituzionalmente illegittimo - per diretta violazione
dell'art.  75  dello  statuto  -  il   principio   stesso   di   tale
acquisizione. Infatti l'art. 75 St. attribuisce alle  Province  quote
del gettito di determinate entrate tributarie dello Stato,  percepite
nei rispettivi territori provinciali, e poi «nove decimi di tutte  le
altre entrate tributarie  erariali,  dirette  o  indirette,  comunque
denominate»  (co.  1,  lett.  g),  affinche'  queste  vengano   spese
nell'esercizio  delle  finzioni  e  competenze  costituzionali  della
Provincia stessa, e non affinche' lo Stato ne possa  disporre  a  suo
piacimento.  In  pratica,  il  comma  22  determina   un   contributo
straordinario permanente, a carico della  Provincia,  al  risanamento
della finanza pubblica statale. 
    Inoltre, e' violato anche l'art. 79 St., in quanto si dispone  un
concorso della Provincia al risanamento della finanza statale, al  di
la' di quanto previsto dalla norma statutaria, che definisce in  modo
esaustivo gli strumenti con cui la Provincia concorre agli  obiettivi
di finanza pubblica, come gia' esposto ai punti 1 e 2. 
    Ancora, le norme del comma 22 alterano unilateralmente  l'assetto
dei rapporti finanziari tra Stato e Provincia di Trento, violando  il
principio dell'accordo che domina tali rapporti (anche su cio'  v.  i
punti 1 e 2) e gli artt. 103 e 104 dello  Statuto,  che  regolano  la
procedura di revisione dello Statuto e la  particolare  procedura  di
modifica delle norme finanziarie di esso. 
    [...] 
    II quomodo del concorso e' definito nei modi previsti dal  quarto
e quinto periodo: il quarto periodo effettua un rinvio alle norme  di
attuazione  dello  statuto,  mentre  il  quinto  prevede  che,   fino
all'emanazione di esse, lo Stato trattenga ogni anno, sulle quote  di
compartecipazione  ai  tributi  erariali  previste   dallo   Statuto,
l'importo del concorso della Provincia  alla  riduzione  della  spesa
sanitaria. 
    Ora, il rinvio alle  norme  di  attuazione  (quarto  periodo)  e'
comunque illegittimo, in quanto l'art. 79 e' modificabile solo con la
procedura di cui all'art. 104  St.  e  non  in  sede  di  attuazione.
Inoltre,  la  norma  in  questione  determina  (illegittimamente)  un
vincolo di contenuto per le norme di attuazione, per  cui  il  rinvio
alla fonte «concertata» appare fittizio e contrasta  con  l'art.  107
St. 
    Infine,  la  previsione   dell'accantonamento   di   un   importo
imprecisato su tali quote autonomamente viola l'art. 75, dato che  le
somme da esso garantite alla Provincia vengono indebitamente ridotte.
Esso viola altresi' l'art. 2, co.  108,  l.  191/2009  (approvato  ai
sensi dell'art. 104 St.: v. l'art. 2, co. 106, l. 191/2009), che, nel
dare attuazione all'art. 75 St.,  ha  stabilito  che  «le  quote  dei
proventi erariali spettanti alla regione Trentino-Alto Adige/Sűdtirol
e alle province autonome di  Trento  e  di  Bolzano  ai  sensi  degli
articoli 69, 70 e 75» dello Statuto,  «a  decorrere  dal  1°  gennaio
2011,  sono  riversate  dalla  struttura  di   gestione   individuata
dall'art. 22 del decreto legislativo 9 luglio 1997,  n.  241,  per  i
tributi oggetto di versamento unificato e  di  compensazione,  e  dai
soggetti a cui affluiscono, per gli altri tributi, direttamente  alla
regione e alle province autonome sul conto infruttifero, intestato ai
medesimi enti, istituito presso la tesoreria provinciale dello Stato,
nei modi e nei tempi da definire con apposito  decreto  del  Ministro
dell'economia e delle finanze, adottato previa intesa con la  regione
e le province autonome». 
    Sono  dunque  lesivi  e  costituzionalmente  illegittimi  sia  il
principio stesso del trasferimento di risorse provinciali allo Stato,
sia le modalita' applicative, nei termini sopra esposti». 
    Come  detto,  tutte  tali  considerazioni  valgono   puntualmente
avverso l'art. 1, comma 481, della l. n. 147 del 2013. 
8) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 499, lett.  b)  e
e), e 500 
    Il comma 499 modifica il comma 454 dell'art. 1 della legge n. 228
del 2012. 
    Nella versione originaria, tale  comma  (il  comma  454)  non  si
riferiva ne' alla Regione Trentino - Alto  Adige  ne'  alle  Province
autonome, che erano al  contrario  espressamente  escluse  dalla  sua
applicazione. 
    Ora invece, pur permanendo l'esclusione  nel  primo  periodo  del
comma 1, la lett. b) del comma  499,  qui  impugnata,  inserisce  nel
comma 454 una tabella che prevede una riduzione di spese, da parte di
questa Provincia, di 34 milioni per gli anni 2015-2017;  e  la  lett.
c), pure impugnata, aggiunge nel  comma  454  la  lett.  d-bis),  che
prevede «ulteriori  contributi  disposti  a  carico  delle  autonomie
speciali». 
    Il comma 500 modifica il comma 455 dell'art. 1 della legge n. 228
del 2012, che e' espressamente riferito alla Regione Trentino -  Alto
Adige  e  alle  Province  autonome.  Dopo  le  modifiche  (che   sono
evidenziate) il comma 455 ora  dispone  quanto  segue:  «al  fine  di
assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione
Trentino-Alto Adige e le province autonome di  Trento  e  di  Bolzano
concordano  con  il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze,  per
ciascuno  degli  anni  dal  2013  al  2017,  il  saldo  programmatico
calcolato in termini di competenza mista, determinato  aumentando  il
saldo programmatico dell'esercizio 2011: a)  degli  importi  indicati
per il 2013 nella tabella di cui all'art. 32, comma 10,  della  legge
12 novembre 2011, n. 183; b) del contributo  previsto  dall'art.  28,
comma  3,  del  decreto-legge  6  dicembre  2011,  n.   201...   come
rideterminato dall'art. 35, comma 4,  del  decreto-legge  24  gennaio
2012, n. 1,... e dall'art. 4, comma 11,  del  decreto-legge  2  marzo
2012, n. 16...; c) degli importi indicati nel decreto  del  Ministero
dell'economia e delle finanze, relativi al 2013, 2014, 2015  e  2016,
emanato in attuazione dell'art. 16,  comma  3,  del  decreto-legge  6
luglio 2012, n. 95...; d) degli importi indicati nella tabella di cui
al comma 454; d-bis) degli ulteriori  contributi  disposti  a  carico
delle autonomie speciali. A tale fine, entro il 31 marzo  di  ciascun
anno, il presidente dell'ente trasmette la  proposta  di  accordo  al
Ministro dell'economia e delle finanze». 
    E' evidente dunque che le modifiche apportate al comma  455  sono
correlate a quelle apportate al comma 454. 
    La ricorrente Provincia autonoma ha gia' impugnato con il ricorso
35/2013 l'art. 1, co.  455,  l.  228/2012.  Le  norme  qui  impugnate
aggravano la lesione prodotta dal comma 455, sia dal punto  di  vista
temporale (mediante la proroga  al  2017)  che  dal  punto  di  vista
quantitativo (mediante la tabella  di  cui  al  comma  454),  e  sono
affette dai medesimi vizi. 
    Valgono dunque in  relazione  ad  esse  le  stesse  censure  gia'
prospettate avverso la versione originaria del comma 455 (e 456)  nel
ricorso 35/2013, che qui per dovere di completezza  argomentativa  si
ripropongono in relazione alla versione modificata dalla  l.  n.  147
del 2013 (che porta ad includere nell'impugnazione anche  la  tabella
di cui al comma 454): 
    «Il comma 455 dispone che, "al fine  di  assicurare  il  concorso
agli obiettivi di finanza pubblica, la regione Trentino-Alto Adige  e
le province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  concordano  con  il
Ministro dell'economia e delle finanze, per ciascuno degli  anni  dal
2013  al  2016,  il  saldo  programmatico  calcolato  in  termini  di
competenza  mista,  determinato  aumentando  il  saldo  programmatico
dell'esercizio 2011: a) degli importi  indicati  per  il  2013  nella
tabella di cui all'art. 32, comma 10, della legge 12  novembre  2011,
n. 183; b)  del  contributo  previsto  dall'art.  28,  comma  3,  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201... come rideterminato dall'art.
35, comma 4, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1,... e  dall'art.
4, comma 11, del decreto-legge 2  marzo  2012,  n.  16...;  c)  degli
importi indicati nel decreto  del  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, relativi al 2013,  2014,  2015  e  2016  [ora  anche  2017],
emanato in attuazione dell'art. 16,  comma  3,  del  decreto-legge  6
luglio 2012, n. 95,...; [ora anche "d) degli importi  indicati  nella
tabella di cui al  comma  454"]  d)  [ora  d  bis)]  degli  ulteriori
contributi disposti a carico delle autonomie speciali". A tale  fine,
"entro il 31 marzo di ciascun anno, il presidente dell'ente trasmette
la proposta di accordo al Ministro dell'economia e delle finanze". 
    Il comma 456 stabilisce che, "in caso di mancato accordo  di  cui
ai commi 454 e 455 entro il 31 luglio,... gli obiettivi della regione
Trentino-Alto Adige e delle province autonome di Trento e di  Bolzano
sono determinati  applicando  agli  obiettivi  definiti  nell'accordo
relativo al 2011 i contributi previsti dal comma 455". 
    Dunque, il comma 455 prevede in teoria l'accordo tra la Provincia
ed il  Ministro  dell'economia  e  delle  finanze  per  il  patto  di
stabilita', ma in realta' stabilisce  unilateralmente  che  il  saldo
programmatico  e'  "determinato  aumentando  il  saldo  programmatico
dell'esercizio 2011" dei contributi  previsti  da  alcune  leggi.  Il
comma  456  conferma  il  carattere  illusorio  della  determinazione
concordata del patto, in quanto rende facoltativo l'accordo. 
    I commi 455 e 456 violano, in primo  luogo,  l'art.  79,  co.  3,
primo periodo dello Statuto (secondo il quale «al fine di  assicurare
il concorso agli obiettivi di  finanza  pubblica,  la  regione  e  le
province concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli
obblighi relativi al patto di stabilita' interno con  riferimento  ai
saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo"), che assicura la
natura pattizia della regolazione degli obblighi relativi al patto di
stabilita' interno. 
    Inoltre,  essi  violano  il  principio  dell'accordo  in  materia
finanziaria, risultante dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze
n. 82 del 2007, n. 353 del 2004, n. 39 del 1984, n. 98 del 2000 e  n.
133 del 2010)" [su cio' v. il punto 2, ultimo capoverso, del presente
ricorso]. 
    "Ancora, le norme sono  affette  da  irragionevolezza  in  quanto
internamente contraddittorie, perche' da un lato prevedono un accordo
e, dall'altro, lo vanificano tramite una definizione aprioristica del
suo contenuto. I commi 455 e 456 contraddicono anche il comma 458, in
base al quale "l'attuazione dei commi 454,  455  e  457  avviene  nel
rispetto degli statuti delle  regioni  a  statuto  speciale  e  delle
province autonome di Trento e di Bolzano e delle  relative  norme  di
attuazione». La Provincia e' legittimata a far valere il principio di
ragionevolezza (art. 3 Cost.) perche' le norme impugnate rientrano in
materia provinciale (coordinamento della finanza pubblica) e incidono
sull'autonomia finanziaria della Provincia». 
    Risulta dunque evidente, per i motivi indicati,  l'illegittimita'
costituzionale anche dell'art. 1, commi 499, lett. b) e  c),  e  500,
della l. n. 147 del 2013. 
9) Illegittimita' costituzionale dell'art. l, commi 502 e 504 
    Il comma 502 modifica l'art. 1, co. 461, l. 228/2012. 
    Nella  versione  originaria,  la  disposizione   ora   modificata
disponeva, tra l'altro, che ove la certificazione da  essa  prevista,
sebbene trasmessa in ritardo, attestasse il  rispetto  del  patto  di
stabilita',  si  applicassero  alle  regioni  e   province   autonome
ritardatarie «le sole  disposizioni  di  cui  all'art.  7.  comma  1.
lettera d), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149». 
    Sennonche' tale ultima disposizione (l'art. 7, co.  1,  lett.  d,
del lgs.  149/2011)  e'  stata  dichiarata  illegittima  dalla  sent.
219/2013. Di qui la necessita' di una modifica. Nel nuovo  testo,  il
rinvio e' ora al comma 462, lett. d) della stessa l. 228/2012. 
    Il comma 462, lett. d),  stabilisce  che,  «in  caso  di  mancato
rispetto del patto di stabilita' interno la Regione  o  la  Provincia
autonoma    inadempiente,    nell'anno    successivo     a     quello
dell'inadempienza:...  d)  non  puo'  procedere  ad   assunzioni   di
personale   a   qualsiasi   titolo,   con   qualsivoglia    tipologia
contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata  e
continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi
di stabilizzazione in atto. E' fatto altresi'  divieto  di  stipulare
contratti di servizio che si configurino come elusivi della  presente
disposizione». 
    I commi 461 e 462 della  l.  228/2012  sono  stati  impugnati  da
questa Provincia con il gia' citato ricorso 35/2013.  Il  comma  502,
modificando il comma 461 e richiamando le sanzioni di  cui  al  comma
462, riproduce le lesioni derivanti da quelle norme. 
    Tenuto conto di cio', si possono qui riproporre avverso la  nuova
formulazione le argomentazioni gia' svolte nel ricorso 35/2013: 
    «I commi da 461 a 465 prevedono le condizioni  per  l'adempimento
del patto di stabilita',  i  casi  di  inadempimento  e  le  relative
sanzioni, anche in relazione alla Provincia di Trento. 
    Il comma 461 dispone che, «ai fini della  verifica  del  rispetto
degli obiettivi del patto di stabilita' interno, ciascuna  regione  e
provincia autonoma e' tenuta ad inviare, entro il termine  perentorio
del 31  marzo  dell'anno  successivo  a  quello  di  riferimento,  al
Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  -   Dipartimento   della
Ragioneria generale dello Stato una certificazione, sottoscritta  dal
rappresentante legale e dal responsabile  del  servizio  finanziario,
secondo i prospetti e con le modalita' definite dal decreto di cui al
comma 460».  La  disposizione  prosegue  statuendo  che  «la  mancata
trasmissione della certificazione entro il termine perentorio del  31
marzo costituisce inadempimento al patto di stabilita' interno»;  nel
caso «in cui la certificazione, sebbene trasmessa in ritardo, attesti
il rispetto del patto, si  applicano  le  sole  disposizioni  di  cui
all'art. 7, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 6  settembre
2011, n. 149». 
    Il comma 462 stabilisce quanto segue: 
    «In caso di mancato rispetto del patto di stabilita'  interno  la
Regione o la Provincia autonoma inadempiente, nell'anno successivo  a
quello dell'inadempienza: a) e'  tenuta  a  versare  all'entrata  del
bilancio statale, entro sessanta giorni dal termine stabilito per  la
trasmissione della certificazione relativa al rispetto del  patto  di
stabilita' interno, l'importo corrispondente alla differenza  tra  il
risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato.  Per
gli enti per i quali il patto di stabilita' interno  e'  riferito  al
livello della spesa, si assume quale  differenza  il  maggiore  degli
scostamenti registrati in termini di cassa o di competenza. Dal 2013,
per gli enti per i quali il patto di stabilita' interno  e'  riferito
al livello della spesa, si assume quale differenza il maggiore  degli
scostamenti registrati in termini di competenza eurocompatibile o  di
competenza finanziaria. In caso di mancato versamento si procede, nei
sessanta giorni successivi, al recupero di detto scostamento a valere
sulle giacenze  depositate  nei  conti  aperti  presso  la  tesoreria
statale. Trascorso inutilmente il termine perentorio stabilito  dalla
normativa vigente per la trasmissione della certificazione  da  parte
dell'ente territoriale, si procede al blocco  di  qualsiasi  prelievo
dai conti della tesoreria statale sino a quando la certificazione non
viene acquisita[..]; b) non puo' impegnare spese correnti,  al  netto
delle spese per la sanita', in misura superiore  all'importo  annuale
minimo dei corrispondenti impegni effettuati nell'ultimo triennio; c)
non puo' ricorrere all'indebitamento per gli investimenti; i mutui  e
i prestiti obbligazionari posti in essere con istituzioni  creditizie
e finanziarie per il finanziamento degli investimenti  devono  essere
corredati da apposita attestazione da cui  risulti  il  conseguimento
degli  obiettivi  del  patto  di  stabilita'   interno   per   l'anno
precedente. L'istituto finanziatore o l'intermediario finanziario non
puo' procedere al finanziamento o al  collocamento  del  prestito  in
assenza  della  predetta  attestazione;  d)  non  puo'  procedere  ad
assunzioni  di  personale  a  qualsiasi  titolo,   con   qualsivoglia
tipologia contrattuale, ivi compresi  i  rapporti  di  collaborazione
coordinata  e  continuativa  e   di   somministrazione,   anche   con
riferimento ai processi di stabilizzazione in atto. E' fatto altresi'
divieto di stipulare contratti di servizio che  si  configurino  come
elusivi della presente disposizione; e) e' tenuta a rideterminare  le
indennita' di funzione ed i gettoni di presenza del Presidente e  dei
componenti della Giunta con una riduzione del 30 per  cento  rispetto
all'ammontare risultante alla data del 30 giugno 2010». 
    Il comma 463 dispone che «le regioni e le  province  autonome  di
Trento  e  di  Bolzano  che  si  trovano  nelle  condizioni  indicate
dall'ultimo periodo dell'art. 7, comma 1,  lettera  a),  del  decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 149, si  considerano  adempienti  al
patto  di  stabilita'  interno  se,  nell'anno  successivo:  a)   non
impegnano spese correnti, al netto delle spese  per  la  sanita',  in
misura  superiore  all'importo  annuale  minimo  dei   corrispondenti
impegni   effettuati   nell'ultimo   triennio;   b)   non   ricorrono
all'indebitamento  per  gli  investimenti;  c)   non   procedono   ad
assunzioni di personale a qualsiasi titolo con qualsivoglia tipologia
contrattuale, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata  e
continuativa e di somministrazione, anche con riferimento ai processi
di stabilizzazione in atto»; dispone ancora che «e' fatto,  altresi',
divieto di stipulare contratti di servizio che  si  configurino  come
elusivi  della  presente  disposizione»,  che   «a   tal   fine,   il
rappresentante legale e  il  responsabile  del  servizio  finanziario
certificano trimestralmente il rispetto delle condizioni di cui  alle
lettere a)  e  b)  e  di  cui  alla  presente  lettera»,  e  che  «la
certificazione e' trasmessa,  entro  i  dieci  giorni  successivi  al
termine di ciascun trimestre,  al  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze - Dipartimento della Ragioneria generale  dello  Stato»;  che
«in caso di mancata trasmissione della certificazione, le regioni  si
considerano inadempienti al patto di stabilita' interno», e  che  «lo
stato di inadempienza e le sanzioni previste, ivi compresa quella  di
cui all'art. 7, comma  1,  lettera  a),  del  decreto  legislativo  6
settembre 2011, n. 149, hanno effetto decorso il  termine  perentorio
previsto per l'invio della certificazione». 
    [...] 
    Ad avviso della ricorrente Provincia anche tali disposizioni sono
illegittime per violazione dell'art. 79 St., che pone le  regole  per
la definizione del  patto  di  stabilita',  precisando  che  «non  si
applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti  nel
restante territorio nazionale» (co.  3)  e  in  particolare  che  «le
disposizioni  statali  relative  all'attuazione  degli  obiettivi  di
perequazione e di solidarieta', nonche' al  rispetto  degli  obblighi
derivanti dal patto di stabilita' interno, non  trovano  applicazione
con riferimento alla regione e alle province  e  sono  in  ogni  caso
sostituite da quanto previsto dal presente articolo» (co. 4). 
    E' evidente, nella disposizione concordata dell'art. 79  Statuto,
l'intento di creare una disciplina del patto di stabilita' completa e
completamente   sostitutiva   della   normativa   statale   ordinaria
concernente  il  patto  di  stabilita',  codificando  la   permanente
specialita',  sotto  questo  profilo,  della  Regione   Trentino-Alto
Adige/Sűdtirol. 
    Ugualmente, e' evidente che le disposizioni  qui  impugnate  sono
«relative  all'attuazione  degli  obiettivi  di  perequazione  e   di
solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal  patto
di stabilita' interno» e che dunque esse  «non  trovano  applicazione
con riferimento alla regione e alle province» e sono  «sostituite  da
quanto previsto dal presente articolo»: in questo caso come «in  ogni
caso», secondo l'espressa previsione dell'art. 79 Statuto. 
    E'  dunque  illegittima,   nelle   impugnate   disposizioni,   la
previsione che esse si applichino alla ricorrente Provincia. 
    Posto il quadro statutario,  il  legislatore  statale  ordinario,
infatti, non puo' definire unilateralmente le condizioni  perche'  la
Provincia sia considerata  adempiente  al  patto  di  stabilita',  le
fattispecie di inadempimento e le sanzioni, in  violazione  del  gia'
illustrato principio consensuale che domina i rapporti finanziari fra
Stato e Regioni speciali e degli  artt.  103,  104  e  107  St.,  che
richiedono o il procedimento di revisione costituzionale  o  comunque
un procedimento concertato per la modifica o attuazione del Titolo VI
dello Statuto. 
    Nel  caso  in  cui  le  norme  succitate  fossero   intese   come
applicabili anche in relazione agli obblighi concernenti il patto  di
stabilita' degli enti locali, esse violerebbero  l'art.  79,  co.  4,
dello Statuto (sopra citato) e l'art. 79, co. 3,  in  base  al  quale
spetta alle Province stabilire gli  obblighi  relativi  al  patto  di
stabilita' interno e provvedere alle funzioni  di  coordinamento  con
riferimento agli enti locali, mentre  «non  si  applicano  le  misure
adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante  territorio
nazionale»; inoltre, viene stabilito che «le  province  vigilano  sul
raggiungimento degli obiettivi di finanza  pubblica  da  parte  degli
enti di cui al presente comma». 
    Inoltre,  sarebbero  violati  gli  artt.  80  e   81   St.,   che
garantiscono competenza  legislativa  alle  Province  in  materia  di
finanza locale, e l'art. 17, co. 3, d.lgs. 268/1992, che  attribuisce
alle Province il potere di disciplinare  «con  legge  i  criteri  per
assicurare  un  equilibrato  sviluppo  della  finanza  comunale,  ivi
compresi i  limiti  all'assunzione  di  personale,  le  modalita'  di
ricorso  all'indebitamento,  nonche'  le  procedure  per  l'attivita'
contrattuale». 
    Tale potesta' legislativa e' stata attuata con la  l.p.  36/1993,
il cui art. 3 - come visto - dispone  che  «in  sede  di  definizione
dell'accordo  previsto  dall'art.  81  dello  Statuto  speciale  sono
stabilite... le misure necessarie a garantire il coordinamento  della
finanza comunale e quella provinciale,  con  particolare  riferimento
alle misure previste dalla legge  finanziaria  per  il  perseguimento
degli obiettivi della  finanza  provinciale  correlati  al  patto  di
stabilita' interno». 
    Le norme in questione,  dunque,  pretendono  di  sovrapporsi  con
diretta applicabilita' ad una disciplina gia' vigente  in  provincia,
con conseguente violazione dell'art. 2 d.lgs. 266/1992». 
    Il comma 504 stabilisce che l'art. 1, co. 463, l.  228/2012,  che
pure rinviava all'art. 7 d.lgs. 149/2011, «e'  abrogato  a  decorrere
dall'esercizio  2014».  In   questo   modo   esso   appare   limitare
l'inapplicabilita' della  disposizione  ora  abrogata,  confermandone
l'operativita' per il 2013:  qualora  il  comma  463  avesse  trovato
applicazione nel 2013, il comma 504 sarebbe dunque, per questa parte,
illegittimo e lesivo per le ragioni sopra esposte. 
10) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 516 
    Il comma 516, primo periodo,  dispone  che,  «relativamente  alla
regione Trentino-Alto Adige e alle province autonome di Trento  e  di
Bolzano, il concorso  agli  obiettivi  di  finanza  pubblica  sia  in
termini di saldo netto da finanziare sia in termini di  indebitamento
netto, previsto dalla  normativa  vigente,  viene  ripartito  fra  le
stesse con intesa da comunicare al Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, entro il 30  giugno  2014».  La  disposizione  aggiunge  poi
(secondo periodo) che, «in caso di mancata intesa, il  contributo  e'
ripartito secondo criteri  definiti  dal  Ministero  dell'economia  e
delle finanze». 
    Ad avviso della ricorrente Provincia sia il primo che il  secondo
periodo sono affetti da illegittimita' costituzionale. 
    Il primo periodo risulta illegittimo, in quanto esso viola l'art.
79, co. 3, St.,  che  demanda  alla  Regione  Trentino-Adige  e  alle
Province  autonome,  direttamente  e  separatamente,  il  potere   di
concordare  con  il  Ministro  dell'Economia  e  delle  finanze  «gli
obblighi relativi al patto di stabilita' interno con  riferimento  ai
saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo». 
    La  norma   impugnata   potrebbe   risultare   costituzionalmente
legittima solo ove si trattasse di norma meramente facoltizzante, ove
cioe' essa prevedesse la possibilita', ma non l'onere di addivenire a
tale intesa. Il carattere oneroso, invece,  appare  nel  collegamento
con il secondo periodo del comma 516, che prevede, in caso di mancata
intesa, l'intervento del Ministero al fine di definire i  criteri  di
riparto. 
    Il meccanismo complessivo che ne risulta viola, in  primo  luogo,
il principio di leale collaborazione e l'art. 79,  co.  3,  St.,  che
appunto prevede un'intesa tra le singole  autonomie  speciali  ed  il
Ministro per definire gli obblighi relativi al patto  di  stabilita'.
Lo Statuto speciale garantisce alla  Regione  Trentino-Alto  Adige  e
alle Province autonome una procedura concertata, con  riferimento  al
rispettivo  concorso  finanziario.  Pertanto,  la  previsione  di  un
successivo atto unilaterale dello Stato,  in  grado  di  ripartire  i
concorsi stabiliti ugualmente dallo Stato, porrebbe  nel  nulla  tale
specifica garanzia statutaria. 
    Infine, il comma  516,  secondo  periodo,  istituisce  un  potere
sostitutivo  unilaterale,  laddove,  con  riferimento  alle   materie
assegnate dallo Statuto, opera soltanto (v. la sent. 236/2004) l'art.
8  dPR  526/1987,  che  ne  prevede  i  presupposti  e  la  specifica
procedura. Ora, che si tratti di materie di competenza statutaria non
puo' esser dubbio, essendo essa stabilita dall'art. 79 St. 
    Il  comma  516,  primo  periodo,  fa  generico  riferimento  alla
«normativa vigente», cioe' alle norme legislative statali  che  hanno
unilateralmente previsto misure di concorso alla finanza  pubblica  a
carico delle autonomie speciali  (d.l.  78/2010;  d.l.  138/2011;  l.
183/2011; d.l. 201/2011; d.l. 1/2012; d.l. 95/2012; l. 228/2012), fra
le quali la stessa l. 147/2013. 
    Molte di tali disposizioni, ivi comprese,  sono  state  impugnate
dalla ricorrente Provincia, e quelle della l. n. 147 lo sono  con  il
presente ricorso. (v. i motivi n. 6 e n. 11, in  relazione  ai  commi
429 e 526). Il richiamo in questione sarebbe ovviamente affetto dagli
stessi vizi delle norme richiamate, ove intendesse dare ad  esse  una
ulteriore base giuridica. 
11) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 526 e 527 
    Il comma 526 dispone quanto segue: 
    «Per l'anno 2014, con le procedure previste  dall'art.  27  della
legge 5 maggio 2009, n. 42,  le  regioni  a  statuto  speciale  e  le
province autonome di Trento e  di  Bolzano  assicurano  un  ulteriore
concorso alla finanza  pubblica  per  l'importo  complessivo  di  240
milioni di euro. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui
al predetto art. 27, l'importo del concorso  complessivo  di  cui  al
primo periodo del presente comma e' accantonato, a valere sulle quote
di  compartecipazione  ai  tributi  erariali,  secondo  gli   importi
indicati,  per  ciascuna  regione  a  statuto  speciale  e  provincia
autonoma, nella tabella seguente:[...]». La tabella prevede,  per  la
Provincia di Trento e per il 2014, un  accantonamento  di  19.913.000
euro. 
    Dunque, il comma 526, come il comma 481, prevede una riduzione di
spesa a carico delle Regioni speciali ed  un  rinvio  alle  norme  di
attuazione per l'attuazione di tale  previsione;  inoltre,  il  comma
526, come il comma 481, dispone - in attesa delle norme di attuazione
- un accantonamento  sulle  quote  di  compartecipazione  ai  tributi
erariali. La differenza tra le due norme  sta  solo  nel  fatto  che,
mentre il comma 481 non  precisa  l'importo  dell'accantonamento,  il
comma 526 reca una tabella che determina la somma da accantonare. 
    Il contenuto lesivo delle due norme e', pero', comune, ragion per
cui anche il comma 526 viola gli artt. 75, 79, 103, 104 e  107  dello
Statuto speciale, il principio dell'accordo in materia finanziaria  e
l'art. 2, co. 108, l. 191/2009, per le stesse ragioni gia' esposte al
motivo n. 7 del presente ricorso, che  qui  si  intendono  richiamate
(sul principio dell'accordo v. anche l'ultimo capoverso del motivo n.
2). 
    Oltre a prevedere  unilateralmente  un  ulteriore  concorso  alla
finanza pubblica, in violazione dell'art. 79 St., a predeterminare il
contenuto delle norme di attuazione (in contrasto con l'art. 107 St.)
e a disporre un accantonamento (in contrasto con l'art. 75  St.),  il
comma 526 non precisa il criterio di riparto dell'ulteriore  concorso
tra le diverse autonomie speciali e, in tal modo,  non  consente  una
verifica di proporzionalita' del riparto stesso.  In  subordine  alle
censure principali va percio' rilevato che, cosi' operando, il  comma
526 viola l'art. 3 Cost. (principio di  ragionevolezza)  e  che  tale
violazione si traduce in una lesione dell'autonomia finanziaria della
Provincia. 
    Il comma 527 (secondo cui  «gli  importi  indicati  per  ciascuna
regione a statuto speciale e provincia autonoma nella tabella di  cui
al comma 526 possono essere  modificati,  a  invarianza  di  concorso
complessivo alla finanza pubblica, mediante accordo da sancire, entro
il 31 gennaio 2014, in sede di Conferenza permanente per  i  rapporti
tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano», con la precisazione  che  «tale  riparto  e'  recepito  con
successivo decreto del Ministero dell'economia e delle  finanze»)  e'
illegittimo  in  quanto  rinvia  al  comma  526,   presupponendo   la
legittimita' del concorso da esso previsto. 
12) Illegittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 521,  711,  712,
723, 725, 727 e 729 
    Vengono qui in considerazione i commi 521 711, 712, 723, 725, 727
e 729 i quali, con riferimento alla riserva allo Stato  di  quote  di
tributi locali, e in particolare alla riserva prevista  dall'art.  1,
co. 380, lett. f), l. 228/2012, ribadita dal comma 521, confermano il
meccanismo dell'accantonamento sulle quote spettanti  alla  Provincia
di compartecipazione ai tributi erariali di  cui  al  gia'  impugnato
art. 13, co. 17, d.l. 201/2011, gia' tenuto fermo  dall'art.  1,  co.
380, lett. h), l. 228/2012. 
    Sia l'art. 13, co. 17, d.l. 201/2011 che l'art. 1, co. 380, lett.
f) l. 228/2012 sono stati impugnati da questa Provincia con i ricorsi
n.  34  del  2012  e  n.  35  del  2013,  tuttora  pendenti.  Facendo
riferimento agli stessi meccanismi, i commi sopra citati sono  dunque
affetti dagli stessi vizi denunciati con tali  ricorsi,  come  meglio
ora  si  illustrera'  per  esigenze  di   chiarezza   e   completezza
dell'impugnazione. 
    Precisamente, il comma 521 stabilisce che, «a decorrere dall'anno
2014, per le province autonome di Trento e di Bolzano,  le  quote  di
gettito riservate allo Stato in riferimento ai  tributi  locali  sono
assicurate con le modalita' di cui  al  comma  17  dell'art.  13  del
decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201...» (primo periodo), cioe'  con
l'accantonamento  sulle  quote  di   compartecipazione   ai   tributi
erariali. Inoltre, lo stesso comma  prevede  che  «sino  al  riordino
della disciplina nazionale  dei  tributi  locali  immobiliari,  resta
acquisito all'entrata del bilancio dello Stato  il  gettito  dell'IMU
relativo  agli  immobili  di  categoria  D,  per  la  quota  riferita
all'aliquota standard, di cui all'art.  1,  comma  380,  lettera  g),
della legge 24 dicembre 2012, n. 228». In  tal  modo,  il  comma  521
ribadisce la riserva allo Stato prevista dall'art. 1, co. 380,  lett.
f), della stessa l. n.  228/2012,  a  nulla  rilevando  l'espressione
«sino al riordino  della  disciplina  nazionale  dei  tributi  locali
immobiliari». 
    Il comma 711 stabilisce  che,  «per  i  comuni  delle  regioni  a
statuto speciale  Friuli-Venezia  Giulia  e  Valle  d'Aosta  e  delle
province autonome di Trento e di Bolzano a cui la  legge  attribuisce
competenza in materia di finanza locale, la compensazione  del  minor
gettito dell'imposta municipale propria,  derivante  dai  commi  707,
lettera c), e 708, avviene attraverso  un  minor  accantonamento  per
l'importo  di  5,8  milioni  di  euro  a  valere   sulle   quote   di
compartecipazione ai tributi erariali, ai  sensi  del  comma  17  del
citato art. 13 del decreto-legge n. 201 del 2011». 
    Tale norma - come oltre meglio si dira' - e' simile  all'art.  3,
co. 2-bis, d.l. 102/2013, impugnato da questa Provincia  con  ricorso
3/2014. 
    Il comma 712 dispone che, «a  decorrere  dall'anno  2014,  per  i
comuni ricadenti nei territori delle regioni Friuli-Venezia Giulia  e
Valle d'Aosta,  nonche'  delle  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano, ai fini di cui al comma 17 dell'art. 13 del decreto-legge  6
dicembre 2011, n. 201,... non si tiene conto  del  minor  gettito  da
imposta municipale propria derivante dalle  disposizioni  recate  dal
comma 707». 
    Il significato di questa disposizione non e'  del  tutto  chiaro:
essa potrebbe essere intesa nel senso che la somma corrispondente  al
minor gettito non viene accantonata, oppure nel senso  che  il  minor
gettito   derivante   dal   comma   707    non    viene    scomputato
dall'accantonamento, cioe' nel  senso  che  viene  accantonata  sulle
quote  di   compartecipazione   ai   tributi   erariali   una   somma
corrispondente ad  un  gettito  inesistente  (ed  anche  su  cio'  si
tornera' piu' avanti). 
    Il comma 723 statuisce che, «per le somme concernenti gli anni di
imposta 2013 e seguenti, gli enti locali  interessati  comunicano  al
Ministero dell'economia e delle finanze e al  Ministero  dell'interno
gli esiti della procedura del riversamento di cui  al  comma  722  al
fine delle successive regolazioni,...  per  i  comuni  delle  regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle  province  autonome  di
Trento e di Bolzano, in sede di attuazione del comma 17 dell'art.  13
del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201». 
    Il comma 725 dispone che, «a decorrere dall'anno di imposta 2012,
nel caso in cui sia stata versata allo Stato,  a  titolo  di  imposta
municipale propria, una somma spettante al comune, questo,  anche  su
comunicazione    del    contribuente,    da'    notizia    dell'esito
dell'istruttoria al Ministero dell'economia  e  delle  finanze  e  al
Ministero dell'interno il quale effettua le conseguenti regolazioni a
valere  sullo  stanziamento  di  apposito  capitolo  anche  di  nuova
istituzione del proprio stato  di  previsione».  Relativamente  «agli
anni di imposta 2013  e  successivi,  le  predette  regolazioni  sono
effettuate,... per i comuni delle  regioni  Friuli-Venezia  Giulia  e
Valle d'Aosta e delle province autonome di Trento e  di  Bolzano,  in
sede di attuazione del comma 17  dell'art.  13  del  decreto-legge  6
dicembre 2011, n. 201». 
    Il comma 727 detta una norma simile per il  caso  opposto,  cioe'
per il «caso in cui sia stata versata al comune, a titolo di  imposta
municipale propria, una somma spettante allo Stato». 
    Il comma 729 apporta diverse modifiche all'art. 1,  co.  380,  l.
228/2012 e, tra l'altro, sostituisce la  lett.  h),  nella  quale  si
ribadisce che «il comma 17 dell'art. 13 del decreto-legge n. 201  del
2011  continua  ad  applicarsi  nei  soli  territori  delle   regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle  province  autonome  di
Trento e di Bolzano». 
    Oltre al comma 521, dunque, anche i commi 711, 712, 723, 725, 727
e 729 confermano il meccanismo dell'accantonamento  di  cui  al  gia'
impugnato art. 13, co. 17, d.l. 201/2011, gia' tenuto fermo dall'art.
1, co. 380, lett. h), l. 228/2012. Come si e' visto,  poi,  il  comma
521 ribadisce la riserva allo Stato prevista dall'art.  1,  co.  380,
lett. f), l. 228/2012. Poiche' tali norme della legge  di  stabilita'
per il 2013 sono state a suo tempo impugnate da questa Provincia,  si
devono qui riproporre e rinnovare le censure gia'  formulate  con  il
ricorso 35/2013, precisando che la sostituzione dell'art. 80  St.  ad
opera dell'art. 1, co. 518, l. 147/2013 non fa  che  avvalorare  tali
censure, dato che la competenza statutaria provinciale in materia  di
finanza locale ha ora assunto rango primario: 
    «A) Premessa. La  disciplina  dell'Imu  e  la  sottrazione  delle
risorse al sistema locale. 
    Illegittimita' costituzionale delle lett. b), f), h) e i). 
    Il comma 380 detta  diverse  norme  «al  fine  di  assicurare  la
spettanza ai Comuni del gettito dell'imposta municipale  propria,  di
cui all'art. 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n.  201,[...]  per
gli anni 2013 e 2014». Si tratta, in altre parole, della disciplina e
soprattutto della destinazione dell'IMU. 
    Converra' ricordare che  l'art.  13  d.l.  201/2011  ha  regolato
l'Anticipazione   sperimentale   dell'imposta   municipale   propria,
stabilendo  (comma  1)  che  l'istituzione  di   tale   imposta   «e'
anticipata, in via sperimentale, a decorrere dall'anno  2012,  ed  e'
applicata in tutti i comuni del territorio nazionale fino al 2014  in
base agli articoli 8 e 9 del decreto legislativo 14  marzo  2011,  n.
23, in quanto compatibili, ed alle disposizioni che seguono»,  e  che
conseguentemente, «l'applicazione a  regime  dell'imposta  municipale
propria e' fissata al 2015». 
    Il riferimento a «tutti i comuni  del  territorio  nazionale»  ha
indotto a ritenere che  l'art.  13  intenda  applicarsi  anche  nella
regione Trentino-Alto Adige, ed in relazione alla relativa disciplina
la Provincia autonoma di Trento ha introdotto il ricorso  n.  34/2012
tuttora pendente. 
    Quanto al contenuto della disciplina, l'art.  8,  co.  1,  d.lgs.
23/2011, richiamato dall'art.  13,  comma  1,  del  d.l.  201/11  ora
citato, stabilisce che l'imposta municipale propria  istituita  dallo
stesso  articolo  «sostituisce,  per   la   componente   immobiliare,
l'imposta sul reddito delle persone fisiche e le relative addizionali
dovute in relazione ai redditi fondiari relativi ai beni non  locati,
e l'imposta comunale sugli immobili». 
    Dunque, l'Imu e' venuta a sostituire - oltre  gia'  destinata  ai
Comuni - imposte destinate alla Provincia: o per  nove  decimi,  come
l'Irpef relativa ai redditi fondiari degli immobili non locati  (art.
75 Statuto) o interamente, come le addizionali provinciale e comunale
relative ai redditi fondiari degli immobili non  locati:  va  infatti
ricordato che, in base all'art. 80, co. 1-ter,  St.,  le  addizionali
altrimenti comunali spettano alla Provincia,  nel  quadro  della  sua
complessiva competenza e responsabilita' in materia di finanza locale
prevista dall'art. 80, co. 1, St. 
    Ora, se lo Stato si fosse limitato a rinunciare, in favore  della
finanza comunale, a determinati tributi,  non  vi  sarebbe  nulla  da
eccepire. Ma se, come avviene nel vigente disegno normativo dell'IMU,
il reddito dell'imposta «municipale» viene assegnato allo  Stato,  ne
risulta una violazione dello Statuto, che  determina  un  complessivo
impoverimento del sistema  locale:  dietro  la  «municipalizzazione»,
infatti, vi e' sempre l'imposta erariale, soltanto che il suo gettito
viene sottratto alla Provincia  autonoma,  con  evidente  sostanziale
violazione dell'art. 75 dello Statuto. 
    Cio' e' avvenuto con le disposizioni dell'art. 13  d.l.  201/2011
(che percio', come detto, e' stato impugnato da questa Provincia))  e
accade ora con le disposizioni dell'art.  1,  comma  380,  del  quale
tocca ora esaminare il contenuto specifico. 
    [...] 
    La  lett.  f)  riserva  «allo  Stato  il   gettito   dell'imposta
municipale propria di cui all'art. 13 del citato decreto-legge n. 201
del 2011, derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel
gruppo catastale D, calcolato ad aliquota  standard  dello  0,76  per
cento». 
    La lett. h) abroga l'art. 13, comma 11, d.l. 201/2011 e l'art. 2,
commi 3 e 7, d.l. 23/2011; inoltre, precisa che «per gli anni 2013  e
2014 non operano i commi 1, 2, 4, 5, 8 e 9 del medesimo art. 2» e che
«il comma 17 dell'art. 13 del decreto-legge n. 201 del 2011  continua
ad applicarsi nei soli territori delle regioni Friuli-Venezia  Giulia
e Valle d'Aosta e delle Province autonome di Trento e Bolzano». 
    [...] 
    Cosi' descritti i contenuti dell'art. 1, comma 380,  occorre  ora
esaminare in quali parti essi incidano sull'autonomia finanziaria. 
    [...] 
    Riguarda invece sicuramente la Provincia  di  Trento  ed  i  suoi
comuni la disposizione di cui alla lett. f) riserva  «allo  Stato  il
gettito dell'imposta municipale propria di cui all'art. 13 del citato
decreto-legge n. 201  del  2011,  derivante  dagli  immobili  ad  uso
produttivo classificati nel gruppo catastale D, calcolato ad aliquota
standard dello 0,76 per  cento».  Ad  avviso  della  Provincia,  tale
riserva e' illegittima per le ragioni che di seguito  si  esporranno.
Poiche' gli importi di cui (tra l'altro) alla lett. f) possono essere
modificati ai sensi della lett. i), anche questa e' impugnata. 
    Inoltre, secondo la lett.  h)  «il  comma  17  dell'art.  13  del
decreto-legge n.  201  del  2011  continua  ad  applicarsi  nei  soli
territori delle regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta e delle
Province autonome di Trento e Bolzano». 
    Si tratta  della  disposizione  secondo  la  quale  lo  Stato  si
appropria di tutto il maggior gettito, cioe' ogni  importo  eccedente
le entrate che affluivano ai comuni della provincia di Trento in base
alle norme previgenti: e lo fa acquisendo tali fondi dalla Provincia.
Infatti, il comma 17, terzo periodo,  dispone  -  in  relazione  alle
autonomie speciali competenti in materia di finanza locale - che «con
le procedure previste dall'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n.  42,
le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le Province
autonome di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero  al  bilancio
statale del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel
proprio  territorio».  Ed  il  quarto  periodo  precisa  che,   «fino
all'emanazione delle norme di attuazione di cui allo stesso art.  27,
a valere sulle quote di compartecipazione  ai  tributi  erariali,  e'
accantonato un importo pari al maggior  gettito  stimato  di  cui  al
precedente  periodo».  Il  quinto  periodo,   infine,   prevede   che
«l'importo  complessivo  della  riduzione  del  recupero  di  cui  al
presente comma e' pari per l'anno 2012 a 1.627 milioni di  euro,  per
l'anno 2013 a 1.762,4 milioni di euro  e  per  l'anno  2014  a  2.162
milioni di euro». E sembra da ritenere che - al  di  la'  dell'oscuro
riferimento  alla  «riduzione  del  recupero»  -  i  numeri  indicati
rappresentino  la  quantificazione  del  «recupero»  a  carico  delle
autonomie speciali. 
    Tale disposizione e' gia' stata  contestata  con  il  ricorso  n.
34/2012, e per le corrispondenti ragioni deve essere impugnata  anche
con il presente ricorso. 
    In sintesi, del comma 380 sono qui impugnati: la lett. b) in  via
cautelativa; la lett. f) e - in quanto collegata ad essa -  la  lett.
i); la lett. h), in quanto  confermativa  del  regime  del  comma  17
dell'art. 13 del decreto-legge n. 201 del 2011. 
    Tutte le norme impugnate determinano una attribuzione allo  Stato
- o in via diretta attraverso la riserva di cui alla lettera  f),[..]
- di risorse devolute al sistema finanziario locale. [...] 
    Infine, come  visto,  la  lett.  h)  tiene  ferma  l'applicazione
dell'art. 13, co. 17, d.l. 201/2011 nella provincia di Trento. 
    In  relazione  alla  Provincia  di  Trento,  dunque,   la   nuova
disciplina conserva le caratteristiche  e  il  contenuto  sostanziale
della  precedente,  gia'  impugnata.  Lo  Stato   ha   provveduto   a
ristrutturare le imposte «immobiliari»  e  a  rideterminare  le  basi
imponibili, ma - nel periodo 2013-2014 - i maggiori incassi derivanti
da questa operazione sono interamente destinati allo Stato, il  quale
in parte li riceve direttamente dai contribuenti in base alla riserva
di cui al comma 380, lett. f), in parte li riceve dalla Provincia con
i meccanismi di «recupero» o «accantonamento»  di  cui  all'art.  13,
comma 17, d.l. 201/2011, e in parte  dai  comuni  (per  il  Fondo  di
solidarieta' di cui alla lett. b, ove questa risultasse applicabile). 
    Come gia' accennato, l'Imu  sostituisce  -  oltre  all'ICI,  gia'
destinata ai Comuni - imposte destinate alla Provincia in  base  allo
Statuto: o per nove decimi, come l'Irpef relativa ai redditi fondiari
degli immobili non locati (art. 75 Statuto) o  interamente,  come  le
addizionali provinciale e comunale relative ai redditi fondiari degli
immobili non locati: va infatti ricordato che, in base  all'art.  80,
co. 1-ter, St., le  addizionali  altrimenti  comunali  spettano  alla
Provincia,  nel   quadro   della   sua   complessiva   competenza   e
responsabilita' in materia di finanza locale prevista  dall'art.  80,
co. 1, St. e dall'art. 81, co. 2, St. («Allo  scopo  di  adeguare  le
finanze dei comuni al raggiungimento delle finalita' e  all'esercizio
delle funzioni stabilite dalle leggi, le  province  di  Trento  e  di
Bolzano corrispondono ai comuni stessi idonei  mezzi  finanziari,  da
concordare  fra  il  Presidente  della  relativa  Provincia  ed   una
rappresentanza unitaria dei rispettivi comuni»). 
    In questi termini, attraverso una nominalistica  comunalizzazione
dei tributi immobiliari si realizza il transito delle  corrispondenti
risorse dal bilancio provinciale al  bilancio  statale,  per  effetto
delle norme di cui alle lett. b), f) e h). La  Provincia,  che  prima
«integrava» la finanza locale avvalendosi delle predette risorse, ora
ne e' priva ma dovra' comunque far fronte alle necessita' finanziarie
dei comuni (art. 81, co. 2, St.), e dovrebbe contestualmente  versare
allo Stato proprie risorse in  misura  corrispondente  alle  maggiori
entrate dei Comuni, o comunque in misura corrispondente  a  quella  a
priori determinata dall'art. 13, co. 17, d.l. 201/2011. 
    In un sistema  nel  quale  la  Provincia  ha  la  responsabilita'
complessiva della finanza locale,  la  sottrazione  ai  comuni  delle
risorse  derivanti  dalle  imposte  ad  essi  destinate   costituisce
contemporaneamente    una    lesione    dell'autonomia    finanziaria
provinciale: in questi termini, la devoluzione di parte dell'Imu allo
Stato viola lo Statuto (artt.  80  e  81)  anche  in  relazione  alle
risorse sostitutive dell'Ici,  cioe'  dell'imposta  che  affluiva  ai
comuni. 
    Dunque, le lett. b), f) e h) (e la collegata lett. i) violano gli
artt. 75, 80, co. 1  e  co.  1-ter,  e  81,  co.  2,  St.  in  quanto
attribuiscono allo Stato risorse che  spettano  alla  Provincia  (per
nove decimi, come l'Irpef relativa ai redditi fondiari degli immobili
non locati - art.  75  St.  -  o  interamente,  come  le  addizionali
provinciale e comunale relative ai redditi  fondiari;  art.  80,  co.
1-ter, St.) o  che  rappresentano  una  componente  essenziale  della
finanza comunale, con ripercussioni sulla responsabilita' provinciale
in materia (art. 81, co. 2, St.). 
    Inoltre, la lett. f) e la lett. h) violano  l'art.  79  St.,  che
definisce in modo completo i termini  e  le  modalita'  del  concorso
delle Province autonome e degli enti locali trentini al conseguimento
degli  obiettivi  di  perequazione   e   di   solidarieta',   nonche'
all'assolvimento  degli  obblighi  di  carattere  finanziario   posti
dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle
altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite  dalla
normativa statale. Infatti,  la  devoluzione  di  parte  dell'Imu  al
bilancio statale rappresenta una misura di concorso al raggiungimento
degli obiettivi finanziari dello Stato (su  cio'  v.  amplius  infra,
punto C). 
    Le norme in questione violano anche gli artt. 9, 10 e 10-bis  del
d.lgs. 268/1992, perche' riservano allo Stato parte del  gettito  Imu
in  assenza  dei  presupposti  previsti  dalle  succitate  norme   di
attuazione (su cio' v. amplius infra, punto B). 
    Infine,  tutte  le   norme   impugnate   violano   il   principio
dell'accordo che regola i rapporti fra Stato e  Regioni  speciali  in
materia finanziaria (Corte costituzionale, sentenze n. 82  del  2007,
n. 353 del 2004, n. 39 del 1984, n. 98 del 2000). In particolare  per
questa Provincia la Corte costituzionale (sentenza n. 133  del  2010)
ha ribadito che i rapporti finanziari  tra  lo  Stato  e  la  Regione
Trentino - Alto Adige e le Province autonome  sono  regolati  secondo
procedure paritetiche garantite a norma degli articoli 103, 104 e 107
dello Statuto speciale. 
    B) Specifica illegittimita' costituzionale del comma  380,  lett.
f) e lett. i). 
    Come sopra esposto, il comma 380, lett. f) riserva «allo Stato il
gettito dell'imposta municipale propria..., derivante dagli  immobili
ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D,  calcolato  ad
aliquota standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma  6,  primo
periodo, del citato art. 13». In base al  comma  380,  lett.  g),  «i
comuni possono aumentare sino  a  0,3  punti  percentuali  l'aliquota
standard dello 0,76 per cento, prevista dal comma  6,  primo  periodo
del citato art. 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 per gli immobili
ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D». 
    Dunque, l'Imu derivante  dagli  immobili  produttivi  e'  versata
direttamente allo Stato, che regola anche la possibilita' dei  comuni
di aumentare l'aliquota. 
    L'art, 75 dello Statuto speciale  dispone  che  «sono  attribuite
alle province le  seguenti  quote  del  gettito  delle  sottoindicate
entrate tributarie dello Stato,  percette  nei  rispettivi  territori
provinciali:... g) i nove decimi di tutte le altre entrate tributarie
erariali, dirette o indirette, comunque denominate, inclusa l'imposta
locale sui redditi, ad eccezione di quelle di spettanza  regionale  o
di altri enti pubblici». 
    Dunque, la quota di Imu  riservata  allo  Stato  dalla  lett.  f)
rientra tra le «entrate tributarie  erariali,  dirette  o  indirette,
comunque denominate», di cui  all'art.  75,  co.  1,  lett.  g),  St.
Infatti, il senso della disposizione statutaria e' esattamente quello
di riservare al sistema locale i nove  decimi  di  tutte  le  entrate
tributarie destinate in via generale allo Stato. 
    In questi termini, i nove decimi  di  essa  sono  destinati  alla
Provincia, ai sensi dell'art. 75 Statuto: ma la lett. f)  contraddice
tale destinazione, e la clausola di salvaguardia di cui al comma  554
non e' in grado di garantire un'applicazione della lett. f)  conforme
a Statuto. 
    Percio' la lett. f) si pone in contrasto con l'art.  75,  co.  1,
lett. g) dello Statuto. 
    La fondatezza della censura sopra  esposta  non  potrebbe  essere
contestata facendo valere la clausola di possibile riserva all'erario
statale prevista dalle norme di attuazione di cui al d.lgs. 268/1992.
[...Sugli artt. 9, 10 e 10-bis d.lgs. 268/1992 v. sopra, punto 2] 
    Ad avviso della ricorrente  Provincia  risulta  evidente  che  in
relazione alla quota erariale dell'Imu  non  sussistono  i  requisiti
posti dall'art. 9 d.lgs.  268/1992  per  la  riserva  all'erario  del
«gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di
nuovi tributi». 
    Tali requisiti sono stati sintetizzati dalla sentenza di  codesta
Corte n. 182/2010, secondo la quale «tale articolo richiede,  per  la
legittimita'  della  riserva  statale,  che:  a)  detta  riserva  sia
giustificata da «finalita' diverse  da  quelle  di  cui  al  comma  6
dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso
d.lgs. n. 268 del 1992,  e  cioe'  da  finalita'  diverse  tanto  dal
«raggiungimento  degli  obiettivi  di  riequilibrio   della   finanza
pubblica» (art.  10,  comma  6)  quanto  dalla  copertura  di  «spese
derivanti  dall'esercizio  delle  funzioni  statali   delegate   alla
regione» (art. 10-bis,  comma  1,  lettera  b);  b)  il  gettito  sia
destinato per legge «alla copertura,  ai  sensi  dell'art.  81  della
Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo
che non rientrano nelle materie di competenza della regione  o  delle
province, ivi comprese quelle relative a calamita' naturali»;  c)  il
gettito  sia  «temporalmente   delimitato,   nonche'   contabilizzato
distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile»". 
    Ora, il  comma  380,  lett.  f)  non  contiene  alcuna  specifica
destinazione, ne' alcuna ulteriore particolare disposizione che possa
riferirsi all'applicazione dell'art. 9 del d.lgs. n.  268  del  1992:
sicche' da questo punto di vista  e'  chiara  l'illegittimita'  della
riserva. 
    C) Specifica illegittimita' costituzionale del comma  380,  lett.
h) 
    Come visto, il comma 380, lett. h) stabilisce che  «il  comma  17
dell'art. 13 del decreto-legge n. 201 del 2011 continua ad applicarsi
nei soli  territori  delle  regioni  Friuli-Venezia  Giulia  e  Valle
d'Aosta e delle Province autonome di Trento e  Bolzano».  L'art.  13,
co.  17,  terzo  periodo  prevede  che  «con  le  procedure  previste
dall'art.  27  della  legge  5  maggio  2009,  n.  42,   le   regioni
Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, nonche' le  Province  autonome
di Trento e di Bolzano, assicurano il recupero  al  bilancio  statale
del predetto maggior gettito stimato dei comuni ricadenti nel proprio
territorio». Il quarto periodo  aggiunge  che,  «fino  all'emanazione
delle norme di attuazione di cui allo stesso art. 27, a valere  sulle
quote di compartecipazione ai tributi  erariali,  e'  accantonato  un
importo  pari  al  maggior  gettito  stimato  di  cui  al  precedente
periodo». In base al quinto  periodo,  «l'importo  complessivo  della
riduzione del recupero di cui al presente comma e'  pari  per  l'anno
2012 a 1.627 milioni di euro, per l'anno 2013 a  1.762,4  milioni  di
euro e per l'anno 2014 a 2.162 milioni di euro». 
    Come detto, tali  norme  sono  state  impugnate  con  il  ricorso
34/2012. 
    Dunque, lo  Stato  non  solo  trattiene  direttamente  una  parte
dell'Imu come entrata erariale (in base alla lett.  f),  ma  vorrebbe
incamerare dalla Provincia anche tutto l'importo eccedente le entrate
che affluivano ai comuni in base alle norme previgenti. Si noti che -
come gia' rilevato con il ricorso 34/2011 - il comma 17 e'  formulato
in modo tale da poter essere inteso nel senso che l'importo  Imu  non
debba essere confrontato con l'importo 2011 dei tributi sostituiti ma
solo con l'importo dei  tributi  comunali  sostituiti  (cioe',  l'Ici
2011). Se  cosi'  fosse,  il  taglio  delle  risorse  assumerebbe  un
carattere del tutto particolare rispetto alla Provincia di Trento (ed
ovviamente a  quella  di  Bolzano).  Infatti,  delle  tre  componenti
sostituite  dall'Imu  (cioe'  l'Irpef   fondiaria,   le   addizionali
provinciali e comunali e l'ICI), soltanto l'ICI  era  precedentemente
destinata direttamente ai comuni, mentre  sia  le  risorse  derivanti
dall'Irpef  fondiaria  che   quelle   derivanti   dalle   addizionali
pervenivano  poi  ai  comuni  per  il   tramite   del   finanziamento
provinciale. Ne risulta che - concentrata la fiscalita' nell'Imu - il
«maggior  gettito  stimato  dei   comuni»   della   Provincia   sara'
particolarmente elevato, comprendendo anche il  gettito  dei  tributi
che prima costituivano entrate della Provincia. Se  cosi'  fosse,  la
Provincia e i suoi enti locali risulterebbero depauperati: 
      dei nove decimi dell'Irpef sui redditi immobiliari, soppressi; 
      delle  addizionali  provinciale  e   comunale   precedentemente
previste (la seconda era  incassata  dalla  Provincia  in  luogo  dei
comuni); 
    Inoltre, il comma 17 potrebbe essere interpretato anche nel senso
che dal gettito precedente sia esclusa  la  somma  che  perveniva  ai
comuni (tramite le Province autonome) ai sensi dell'art.  1,  co.  4,
d.l. 98/2008, che aveva previsto un fondo  sostituivo  delle  entrate
comunali  relative  all'ICI  sull'abitazione  principale  (norma  ora
abrogata dall'art. 13, comma 14, lett. a, del d.l. n. 201 del  2011).
Se cosi' fosse, ne risulterebbe un ulteriore rilevante depauperamento
del sistema provinciale. 
    Il terzo e quarto periodo del comma 17 violano l'art.  75  St.  e
gli artt. 9 e 10 d.lgs. 268/1992 perche' pretendono di  avocare  allo
Stato  risorse  di  spettanza  provinciale,  al  di  fuori  dei  casi
previsti. 
    Cio' e' vero sia nel caso in cui  si  ritenga  che  il  comma  17
produca  l'effetto  di  avocare  allo  Stato  le  risorse  che  prima
spettavano alla Provincia a  titolo  di  compartecipazione  all'Irpef
fondiaria (art. 75 St.) e di addizionali provinciale e comunale (art.
80, co. 1-ter), sia nel caso in  cui  si  ritenga  che  la  Provincia
dovrebbe assicurare il recupero allo Stato del maggior gettito con le
proprie risorse ordinarie, per cui il comma 17 produce  l'effetto  di
«far tornare» nelle casse statali risorse spettanti alla Provincia  e
ad essa affluite in attuazione delle regole finanziarie  poste  dallo
Statuto e dalle norme di attuazione (co. 17, terzo periodo). 
    Inoltre, essi violano  l'art.  79  St.  perche'  l'avocazione  e'
disposta con il  fine  del  concorso  al  risanamento  della  finanza
pubblica, mentre la norma statutaria configura un sistema completo di
concorso delle Province  agli  obiettivi  di  finanza  pubblica,  non
derogabile se  non  con  le  modalita'  previste  dallo  Statuto.  In
particolare, l'art. 79, co. 1, fissa gli strumenti  con  i  quali  le
Province concorrono «al conseguimento degli obiettivi di perequazione
e di solidarieta' e all'esercizio dei  diritti  e  dei  doveri  dagli
stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi di carattere
finanziario  posti  dall'ordinamento  comunitario,   dal   patto   di
stabilita' interno  e  dalle  altre  misure  di  coordinamento  della
finanza pubblica stabilite dalla normativa statale», ed  il  comma  2
precisa che «le misure di cui al comma 1  possono  essere  modificate
esclusivamente con la procedura prevista dall'art. 104  e  fino  alla
loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi
di finanza pubblica di cui al comma 1». Il comma  3  stabilisce  che,
«al  fine  di  assicurare  il  concorso  agli  obiettivi  di  finanza
pubblica, la  regione  e  le  province  concordano  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze  gli  obblighi  relativi  al  patto  di
stabilita' interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire
in  ciascun  periodo»,  e  attribuisce  alle   Province   poteri   di
coordinamento della finanza pubblica in relazione agli  enti  locali,
precisando che «non si applicano le misure adottate per le regioni  e
per gli altri enti nel restante  territorio  nazionale».  Infine,  il
comma 4 dispone che «le disposizioni statali relative  all'attuazione
degli  obiettivi  di  perequazione  e  di  solidarieta',  nonche'  al
rispetto degli obblighi derivanti dal patto  di  stabilita'  interno,
non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province
e sono in ogni  caso  sostituite  da  quanto  previsto  dal  presente
articolo». 
    Ancora, il terzo e quarto periodo del comma 17 violano gli  artt.
103, 104 e 107 St., proprio perche' pretendono di derogare agli artt.
75 e 79 St. e al d.lgs. 268/1992 con una fonte primaria «ordinaria». 
    L'art. 107 St. e'  violato  anche  perche'  il  comma  17,  terzo
periodo, pretende di vincolare  unilateralmente  il  contenuto  delle
norme di attuazione. 
    Una menzione separata e specifica richiede  l'illegittimita'  del
quarto periodo del comma 17 che  prevede  lo  «accantonamento»  delle
quote di compartecipazione previste dall'art. 75 Statuto. 
    Va  rilevato,  infatti,  che  tale   «accantonamento»   contrasta
anch'esso frontalmente con l'art. 75 dello  Statuto  e  con  l'intero
sistema finanziario della Provincia da esso istituito. 
    E' evidente, infatti, che le risorse che lo Statuto prevede  come
entrate  provinciali  sono  cosi'  stabilite  perche'  esse   vengano
utilizzate dalla Provincia per  lo  svolgimento  delle  sue  funzioni
costituzionali, e non perche' esse vengano «accantonate».  L'istituto
dell'accantonamento  non  ha  nel  sistema  statutario   cittadinanza
alcuna. 
    Inoltre, l'illegittimita' del  trasferimento  previsto  determina
anche l'illegittimita' dell'accantonamento disposto nella prospettiva
del trasferimento». 
    Oltre a queste ragioni di illegittimita', che riguardano tutte le
norme sopra citate, alcuni specifici profili riguardano i commi 711 e
712. 
    Come si e' detto, il comma 711 e' simile all'art. 3,  co.  2-bis,
d.l. 102/2013 (gia' impugnato da  questa  Provincia  con  il  ricorso
3/2014), che pure  ha  previsto  un  minor  accantonamento  ai  sensi
dell'art. 13, co. 17, d.l. 201/2011, per  temperare  l'impatto  sulle
finanze locali dell'eliminazione dell'IMU sulla prima casa. 
    Come nel ricorso appena citato, anche in questo caso la Provincia
autonoma di Trento osserva che, ove il proprio ricorso contro  l'art.
13,  co.  17,  venisse  ritenuto  fondato,  non  vi   sarebbe   alcun
«accantonamento» delle somme che lo  Statuto  prevede  spettino  alla
Provincia, ne' dunque alcun possibile «minor accantonamento». 
    In altre parole, il comma 711 e' illegittimo in quanto, invece di
prevedere un effettivo trasferimento di risorse dal bilancio  statale
in favore delle Province autonome, pari all'importo dovuto ai  comuni
a titolo di rimborso della minore entrata derivante  dalla  riduzione
del gettito Imu (cosi' come gia' previsto dall'art. 1,  co.  4,  d.l.
93/2008), prevede la diminuzione di un accantonamento di fondi che e'
gia' di per se' costituzionalmente illegittimo. 
    Tra l'altro, il comma 711 conferma anche ulteriormente la  natura
«sottrattiva» e lesiva dello  stesso  accantonamento,  che  anche  il
legislatore statale tratta come se fosse non un regime di  temporanea
indisponibilita' ma una vera posta passiva,  il  cui  ammontare  puo'
venire diminuito da una iniezione di risorse. 
    In relazione al comma 712,  si  e'  sopra  evidenziato  che  esso
potrebbe essere inteso nel senso che la somma corrispondente al minor
gettito non viene accantonata, oppure nel senso che il minor  gettito
derivante dal comma 707 non viene scomputato dall'accantonamento.  In
questa seconda ipotesi, esso sarebbe illegittimo anche nella parte in
cui non tiene conto, ai fini dell'accantonamento, del  minor  gettito
derivante dalle disposizioni recate dal comma 107. In altri  termini,
se anche - in  denegata  ipotesi  -  fosse  legittimo  il  meccanismo
dell'accantonamento,   sarebbe   certamente   lesivo   dell'autonomia
finanziaria provinciale (come sopra illustrata) non  considerare  una
riduzione  del  gettito  ai  fini  della  misura  dell'accantonamento
stesso. 
    Oltre  a  cio',  e'  da  sottolineare  che  sarebbe   palesemente
irragionevole un sistema in cui una norma (l'art. 13, co. 17) prevede
un accantonamento sulle compartecipazioni provinciali  corrispondente
al maggior gettito Imu dei comuni e un'altra norma (il comma 712  qui
impugnato) stabilisce che la misura dell'accantonamento debba restare
ferma  nonostante  il  gettito  in   questione   abbia   subito   una
diminuzione. Tale irragionevolezza, che implica violazione  dell'art.
3 Cost., si ripercuote evidentemente sull'autonomia finanziaria della
Provincia, che si vede sottratte risorse statutariamente spettanti ad
essa, senza alcuna base logica (oltre che giuridica).